Atene-Londra, quel doppio referendum ridisegna la Ue

di Giulio Sapelli
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Giovedì 14 Maggio 2015, 23:49 - Ultimo aggiornamento: 15 Maggio, 00:07
Non c’è fine alle sorprese europee. Prima che all’Eurogruppo iniziassero i colloqui, l’11 maggio a Bruxelles il leader dell’intransigenza ordoliberista, il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schauble, ha pronunciato queste parole: «Non ci sarebbe nulla di male se venisse indetto un referendum in Grecia sui negoziati in corso».

Naturalmente, c’è di che rimanere allibiti. David Cameron ha vinto e le Borse hanno respirato di sollievo perché temevano le ricette economiche di Ed Milliband, ma certo sono ancora in fibrillazione perché il leader conservatore ha sottolineato imperativamente che il referendum sull’Europa si farà, anticipandolo forse al 2016. Se si incrociassero veramente queste due pericolose traiettorie, che possono deflagrare come missili sul fragile equilibrio tecnocratico a bassissimo gradiente di legittimazione dell’Europa, la costruzione politica, prima che economica, correrebbe un grave rischio.

E tutto ciò mentre la signora Merkel visita la Russia che ha, in questi giorni, ricevuto come nazione un’offesa incredibilmente impolitica e diplomaticamente sciocca con l’assenza dei principali capi di Stato dalle celebrazioni per il settantennio della vittoria sul nazifascismo. È forse meglio meditare, alla luce di queste incredibili cadute di stile diplomatico, su quale sarà il futuro della Grecia. Le possibilità sono due. La prima: il governo di Alexis Tsipras raggiunge un accordo su un terzo piano di salvataggio con il Bruxelles Group.

La seconda possibilità: il Paese si dichiara insolvente entro breve. E la decisione è puramente politica. Del resto, il Bruxelles Group è l’antica troika (Fmi, Bce, Commissione Ue) con l’aggiunta dell’European stability mechanism, l’Esm.



Il problema del debito pubblico greco è economicamente insormontabile. Il governo di Atene vuole ricreare la domanda effettiva e quindi riassume i dipendenti pubblici licenziati ai tempi dei precedenti governi conservatori anche se non ci sono i soldi in cassa. Troika o non troika, l’Esm vorrebbe invece imporre la continuità dei licenziamenti. E questa alternativa tra le due politiche economiche viene fatta propria a chiare lettere dalle stesse cuspidi del potere finanziario. Sentite cosa dicono: «Il radicalismo di Tsipras è una decisione politica chiara, perché non può tornare in patria e rischiare di perdere il consenso», scrive in una nota ai clienti istituzionali uno gnomo ddell’americana Goldman Sachs.

E non parliamo della polemica sulle pensioni: il Bruxelles Group ha domandato alla Grecia di rendere «più sostenibile» nel lungo periodo la previdenza. E non si chiede solo di riparare le ingiustizie contenute nelle baby pensioni, nelle pensioni d’oro per parlamentari e in quelle dei dirigenti pubblici, si attaccano anche i sistemi retributivi e contributivi. Ma ciò è impossibile da raggiungere politicamente, perché significherebbe la fine di Syriza e di tutte le speranze di far imboccare all’Europa una via diversa dal rigore a ogni costo.



Si è giunti a un bivio. Da un lato un terzo piano di sostegno finanziario che di fatto rinegozia e via via allunga sino a cancellare il debito pubblico greco. Cosa di cui si ha già sentore nel continuo rifinanziamento delle banche elleniche da parte Bce. Dall’altro lato un percorso verso l’insolvenza del Paese.



A me pare che la comunità finanziaria propenda per la prima via lasciando isolati i tedeschi. Perché all’ultimo momento l’insolvenza verrebbe sicuramente evitata mettendo al sicuro le banche greche con operazioni spericolate di salvataggio che Draghi di fatto già si prepara a compiere. Ma questa via non sopporterebbe anche il referendum di Cameron. La comunità finanziaria teme come la peste l’uscita del Regno Unito dall’Ue perché questo significherebbe la fuga di tutti gli operatori verso Wall Street, venendo a mancare ogni possibilità di guadagno sul mercato europeo. Per questo le responsabilità della Gran Bretagna e dei sono immense. In primo luogo economicamente. Il Regno Unito, nonostante l’opinione diffusa, non ha affatto praticato l’austerità becera che alcuni osservatori superficiali (come per esempio Niall Ferguson sul Financial Times) esaltano. Se si studiano gli ultimi due anni della ripresa britannica, come ha dimostrato brillantemente Sergio De Nardis di Prometeia o Gustavo Piga sul Messaggero, si nota che la creazione di domanda effettiva e la riapertura di un canale di spesa pubblica rivolto alla produzione è stato la mossa vincente della politica di George Osborne, il cancelliere dello Scacchiere che ha sfidato il rigore dei conti pubblici con classe e capacità innovativa davvero rare.



Il Regno Unito deve rimanere in Europa e rafforzare la sua presenza diplomatica e strategica. La Grecia solo in questo modo può resistere con l’Europa all’offensiva tedesca che si esprime troppo spesso solo in dichiarazioni avventate e offensive.