Ventimiglia, così i migranti alla frontiera beffano i controlli della Francia

Ventimiglia, così i migranti alla frontiera beffano i controlli della Francia
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Sabato 20 Giugno 2015, 08:57 - Ultimo aggiornamento: 21 Giugno, 19:06

dal nostro inviato

Renato Pezzini

VENTIMIGLIA - Due gendarmi davanti, due dietro. In mezzo tredici migranti che salgono con passo sconsolato dal posto di frontiera francese a quello italiano, sulla strada del Ponte San Luigi, a strapiombo sul mare. Idris viene dal Darfur, Omar dal Senegal, ci sono due donne, tre ragazzi del Mali appena maggiorenni. Li hanno beccati alla stazione di Menton su un treno in arrivo dall'Italia, ora ce li rimandano indietro. Ma Sameh mentre sale sul furgone della polizia italiana se la ride: «Domani rientro in Francia».

Più giù, sulla litoranea, c'è l'altro posto di frontiera, quello famoso per i migranti che bivaccano sugli scogli.

Parigi ha scelto questo luogo per mostrare al mondo – e ai propri elettori – di saper fare la faccia feroce. Gli agenti delle forze speciali stanno sulla linea di confine, come a dire: «di qui non si passa». Ma a conti fatti è soltanto una messinscena. A Napoli direbbero che fanno ammuina. Perché fermare il mare è impossibile, e non bastano certo le facce truci dei gendarmi per interrompere il viaggio di una moltitudine in cammino.

I VERI NUMERI

I numeri ufficiali dicono che in una settimana almeno mille africani sono arrivati a Ventimiglia per entrare in Francia e sono stati respinti. In realtà sono molti di più. La maggior parte però ha già capito l'andazzo e ai valichi presidiati dalla polizia manco si fa vedere. Si inerpicano sui sentieri che portano oltreconfine attraverso uliveti e boscaglie. Oppure trovano un passaggio in macchina. I cronisti a fine giornata fanno i conti: «Io ne ho portati di là sette in due viaggi». Alla faccia delle severe disposizioni dell'Eliseo.

La Grande Ipocrisia serve al governo francese per placare l'insofferenza di chi gli immigrati non li vuole. E gli italiani abbozzano per quieto vivere. In un giorno la gendarmeria di Menton ne ha rimandati indietro un'ottantina: «Avevano scontrini di bar italiani in tasca, o biglietti del treno delle vostre Ferrovie». Dodici afgani però non avevano nulla che potesse certificare una loro presenza in Italia, e il Commissariato di Ventimiglia li ha riconsegnati ai francesi, che hanno dovuto farli entrare senza se e senza ma.

Omar Ndiaye ha 58 anni, zoppica perché ha un piede maciullato. Ha parenti che vivono vicino a Parigi, lo aspettano per curarlo. Viene dal Senegal, ha aspettato tre mesi in Libia prima di imbarcarsi, poi con un bus è arrivato a Ventimiglia: «Mi hanno già rimandato indietro due volte. Prima o poi ce la farò». Basta che si spogli di tutto ciò che può documentare un suo passaggio da noi. Come, per esempio, hanno fanno tre eritrei che ora camminano in fila indiana sul lungomare francese. La «police» li ha fermati, loro han detto di essere arrivati via mare. E i gendarmi li han lasciati andare.

Al valico di Ponte San Ludovico, dove i migranti sono accampati sugli scogli, la Costa Azzurra mette in mostra le sue opulenze, le sue ville meravigliose nascoste da muri di bouganville in fiore. E diventa ancora più stridente «lo scandalo» di questo esodo di gente che non ha altro oltre ai propri abiti. Dashir indossa la maglietta di Milito, quando giocava nell'Inter. «Sono partito dal Darfur vestito così». Molti di loro hanno la scabbia («Tre su dieci» dicono all'Asl di Ventimiglia), ci sono bambini di pochi anni, donne anziane.

LA PROTESTA DI AHMED

In territorio italiano i volontari francesi hanno piantato una tenda proprio davanti al drappello di agenti schierato sulla linea di confine, distribuiscono fette d'anguria, banane, pane, e acqua. In polemica con Hollande hanno messo un cartello: «La Francia non era la Patria dei diritti umani?». I nostri poliziotti che nei primi giorni erano piuttosto bruschi con i migranti accampati davanti al mare, ora sono più benevoli.

Avere a che fare tutti i giorni con storie di miseria e disperazione intenerisce il cuore. Ahmed ha 31 anni, viene dal Sudan. È sveglio, furbo. Sa perfettamente che per entrare in Francia senza problemi basta poco. Ma non vuole: «Noi, a differenza dei vostri politici, abbiamo molto tempo e niente da perdere. Siamo in viaggio da mesi, possiamo aspettare ancora». Dice che quello che chiedono è il rispetto dei loro diritti, ed è disposto a rimanere sugli scogli di San Ludovico per molte settimane «se questo può servire a farvi capire perché siamo qui, e perché abbiamo bisogno che l'Europa ci accolga».