I perché delle stragi/ Il fallimento delle politiche scaricabarile

di Alessandro Campi
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Domenica 19 Aprile 2015, 23:10 - Ultimo aggiornamento: 20 Aprile, 00:20
La più cupa e terribile delle previsioni si è avverata. Più partenze dalle coste africane significano più sbarchi su quelle italiane. Ma significano anche - per una banale evidenza statistica - più incidenti in mare e dunque più morti, soprattutto viste le condizioni precarie con cui gli immigrati sono costretti ad affrontare la traversata del Mediterraneo dai loro schiavisti: ammassati in modo disumano su imbarcazioni fatiscenti e spesso con condizioni meteorologiche proibitive.

Da quando il ministero dell’Interno nei giorni scorsi ha lanciato l’allarme alle Prefetture, affinché si attrezzassero per affrontare l’arrivo di migliaia di fuggiaschi e clandestini, si è capito che era solo questione di tempo.



La tragedia avvenuta ieri, se sono vere le cifre che parlano di mezzo milione di persone pronte a lasciare la Libia nelle prossime settimane, è solo il preludio dell’ecatombe che da qui alla prossima estate potrebbe verificarsi dinnanzi ai nostri occhi. La domanda a questo punto è la seguente: quanti morti saranno necessari affinché l’Europa si decida ad intervenire?



Ieri il presidente francese Hollande, appresa la notizia della strage in mare, ha subito chiamato il nostro presidente del Consiglio. Gli ha detto di voler sollecitare un’azione più incisiva dell’Unione Europea in materia d’immigrazione. Ma il problema ormai non è politico-strategico, bensì pratico: chi salva i naufraghi? Prima di decidere nuove linee d’intervento, sulla base di una discussione che richiederà certamente settimane, c’è da capire chi debba farsi carico degli immigrati che stanno arrivando. Da un lato c’è una situazione di emergenza che peggiora da un giorno al successivo, dall’altro ci sono le titubanze e le lentezze decisionali della politica europea, senza contare gli egoismi e le ipocrisie dei governi.



La missione Triton è stata un fallimento: poche risorse a disposizione e una finalità operativa, il pattugliamento e controllo delle frontiere, che non tiene conto che il vero impegno richiesto in questo momento è rappresentato dal salvataggio in mare dei migranti e dalla repressione del traffico illegale di migranti. Si riuscirà a mettere in piedi in breve tempo una Mare nostrum europea, per evitare altre stragi, o l’Italia dovrà continuare ad arrangiarsi con le sue sole forze? Per la cronaca, la Mare nostrum italiana costava 9 milioni di euro al mese. Triton, che coinvolge quasi trenta Stati, ha una dotazione finanziaria di nemmeno 3 milioni mensili. In queste crude cifre c’è tutta l’inadeguatezza dell’Europa rispetto al fenomeno che si pretende di risolvere.

Ma l’emergenza degli sbarchi non finirà mai, anzi si aggraverà, se gli europei - dopo averlo prodotto con la loro stupida improvvida guerra contro Gheddafi - non risolveranno il caos in Libia, le cui coste, sottratte ad ogni controllo politico-militare, sono diventate la piattaforma logistica perfetta per tutte le bande e organizzazioni armate che controllano il traffico d’esseri umani. I morti in mare provocano dolore e sgomento, ma l’onda umana che da ogni angolo dell’Africa e del Medio Oriente minaccia di riversarsi verso l’Italia partendo dalla Libia genera una legittima paura e serie preoccupazioni d’ordine politico e sociale. Per il numero in sé dei clandestini e profughi che potrebbero arrivare, per il pericolo che tra di essi si infiltrino terroristi e militanti del califfato.

Ma di intervenire in Libia con lo scopo di bloccare le partenze alla fonte i nostri partner europei e internazionali non hanno al momento alcuna voglia.



Confidano in una soluzione politico-diplomatica che stabilizzando il quadro interno, grazie ad un accordo tra le parti in lotta e al riconoscimento internazionale di un solo governo legittimo, favorisca anche la soluzione del problema migratorio, o almeno la sua riduzione a livelli più fisiologici. Tale soluzione potrebbe richiedere però tempi lunghi. L’Italia deve dunque cominciare a ragionare sul da farsi, nel caso la comunità internazionale continui a mostrarsi sorda o reticente rispetto alle nostre pressioni. Per arrestare le partenze incontrollate di clandestini una possibile soluzione, come molti ormai sostengono, sarebbe l’approntamento di un blocco navale all’interno delle acque territoriali libiche, che la nostra Marina potrebbe perfettamente gestire. C’è la volontà o forza politica di ricorrere ad una simile misura nel caso non si trovi un accordo per far autorizzare il blocco dalle Nazioni Unite?



Purtroppo il quadro politico nazionale non lascia presagire nulla di buono. Non abbiamo, a quel che sembra, una classe politica in grado di operare perseguendo una visione condivisa dell’interesse nazionale. Come prevedibile, dopo la notizia della tragedia Salvini si è scatenato: ha imputato alla coscienza sporca di Renzi la responsabilità di questi morti e ha così provocato la reazione stizzita della sinistra, che gli ha dato dello “sciacallo” e dell’irresponsabile. Nello scontro, in Italia sempre eguale a se stesso, tra estremismo ideologico e indignazione morale, tra le volgarità del populismo e le banalità sentimentali del progressismo, a farne le spese è l’idea che la politica serve solo quando si dimostra capace di affrontare i problemi alla radice e con coraggio. Il resto, la rabbia schiumante della destra come il piagnisteo umanitario della sinistra, sono soltanto chiacchiere e propaganda.