Più di ottanta pagine che propongono la ricostruzione dettagliata del percorso lungo il quale sono maturati il contesto, il movente, il feroce sentimento che ha ispirato l’omicidio di Sarah. Gelosia. Una fantasia di competizione con la cuginetta, che Sabrina Misseri non riusciva a governare. Un sentimento «primitivo e ancestrale», scrive il gip, e che può «determinare pulsioni forti e aggressive». Gelosia per Sarah diventata donna all’improvviso, e adesso più avvenente di lei. Gelosia per lei «che minava la sua già fragile autostima». Che aveva fatto irruzione nella sua ossessione compulsiva per Ivano con la sua infatuazione da bambina, con la rivelazione a suo fratello, Claudio Scazzi, di un rapporto sessuale infelice tra Sabrina e il ragazzo di cui era innamorata. E quel pettegolezzo era dilagato tra gli amici, «e aveva determinato la rottura dei rapporti» con Ivano, e Sabrina era impazzita di rabbia e di dolore.
La premessa dell’omicidio, secondo il magistrato è proprio lì, in quell’ingorgo di umori rabbiosi e sentimenti ostili, in quel crescendo di ostilità che corre tra Ivano e Sabrina negli sms del 16 agosto, dieci giorni prima dell’omicidio, per colpa delle chiacchiere di Sarah. «Grazie che hai detto a tutti quello che è successo... mi sei scaduta... cancella il mio numero», «Sei bravo a umiliare la gente... non conosci il rispetto... il mio nome non deve più uscire dalla tua bocca». E’ l’epilogo del tormento di Sabrina, in quegli scambi che duravano da mesi, con lei adorante, con lui che incoraggiava e dissuadeva, che voleva amicizia e sesso e niente più, che le chiedeva prestazioni, e poi la fulminava: «Sbagliamo ad avere esigenze fisiologiche, potrebbero rovinare tutto il resto».
Così «la tigre», quella «che si attacca cu’ nienti», come papà Misseri la descrive, viene lungamente ferita, delusa, umiliata. Nella sua ossessione, sospetta di tutte, anche di Sarah. La sera della sua scomparsa, si vendica di Ivano, o forse vuol soltanto cercare di capire: «Abbiamo controllato i diari, Sarah non sa se ti vede come amico, o prova qualcosa di più». «Ma che stai dicendo? Non mi mettere in mezzo a questa storia, è uno scherzo di pessimo gusto». «Meno male che non l’abbiamo portato in caserma, (il diario) sennò diventavi un sospettato». Un ultimo, diperato tentativo di recuperare potere contrattuale. Di rivendicare un’attenzione. Di salvare il sogno insano per cui forse aveva appena ucciso.
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