Ruby bis, giudici: Berlusconi pagò ragazze per mentire, va indagato per corruzione

Ruby bis, giudici: Berlusconi pagò ragazze per mentire, va indagato per corruzione
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Venerdì 29 Novembre 2013, 11:03 - Ultimo aggiornamento: 30 Novembre, 12:56

Silvio Berlusconi, gli avvocati Niccol Ghedini e Piero Longo nonch la stessa Ruby vanno indagati per corruzione in atti giudiziari. Lo scrivono i giudici della quinta sezione penale nelle motivazioni della sentenza sul caso Ruby con cui sono stati condannati Lele Mora, Nicole Minetti ed Emilio Fede. Secondo i giudici, «tutti i soggetti partecipanti alla riunione» del 15 gennaio 2011, e, quindi, anche tutte le ragazze, sono gravemente indiziati, dunque, del reato di cui all'articolo 319 ter cp«. A tale riunione hanno partecipato Berlusconi, Ghedini e Longo.

Le motivazioni. I giudici della Quinta sezione penale del tribunale di Milano, presieduti da Annamaria Gatto, hanno depositato con qualche giorno di anticipo rispetto alla scadenza dei termini le motivazioni della sentenza con cui lo scorso luglio Lele Mora ed Emilio Fede sono stati condannati a 7 anni e Nicole Minetti a 5 anni per il caso Ruby.

«Denaro ai testimoni». Silvio Berlusconi è «gravemente» indiziato del reato «di corruzioni in atti giudiziari» in qualità «di soggetto che elargiva il denaro e le altre utilità» alle ragazze-testimoni, scrivono i giudici di Milano.

«Utilizzatore finale». Silvio Berlusconi è stato ritenuto dai giudici del tribunale di Milano l'«utilizzatore finale delle prostitute» e l'ex consigliera regionale Nicole Minetti «il tramite, per il pagamento di «una parte del corrispettivo corrisposto per il meretricio». Lo si legge in un passaggio della motivazione.

«Dalle testimoni frasi identiche». Le ragazze ospiti alle serate di Arcore, che hanno preso 2.500 euro al mese da Silvio Berlusconi mentre erano testi nei processi sul caso Ruby, «rendevano» in aula «dichiarazioni perfettamente sovrapponibili, anche con l'uso di linguaggio non congruo rispetto alla loro estrazione culturale», si legge nelle motivazioni dove si sottolinea la «ricorrenza» nelle deposizioni «di frasaggi identici» e «terminologie» di cui le giovani «a precisa domanda» non «sapevano riferire il significato».

«Minetti gestiva i pagamenti». «Nicole Minetti svolgeva un fondamentale e continuativo ruolo di intermediazione nella corresponsione di stabili erogazioni economiche alle donne che abitavano in via Olgettina, emolumenti aventi indubbia natura di corrispettivo sinallagmatico per l'attività di prostituzione svolta», scrivono inoltre i giudici. Secondo il collegio, «l'imputata intermediava il rapporto con alcune delle abituali frequentatrici delle cene, occupandosi dell'intera gestione delle abitazioni di via Olgettina, residenze che Berlusconi metteva a disposizione delle ragazze, sostenendone per intero le spese, quale parte del corrispettivo agli atti sessuali a pagamento delle stesse posti in essere in suo favore».

I «compari» Mora e Fede. Emilio Fede e Lele Mora sono stati compari e avrebbero agito «costantemente in tandem (...), in totale sinergia per procurare al 'produttora' i 'programmi' che gli piacevano», aggiungono i giudici nelle motivazioni parlando anche dei «servigi» di Mora «per procurare a Silvio Berlusconi ospiti di suo gradimento». Attività per cui Fede «trattava con l'ex premier la dazione di denaro a Mora pretendendo da questi un rilevante compenso per la mediazione».

Le otto "olgettine" coinvolte. I giudici indicano le otto ragazze che «avevano a disposizione gratuita, in comodato d'uso, gli appartamenti», vale a dire «Toti Elisa, Berardi Iris, Garcia Polanco Maria Ester, Espinoza Arisleida, Guerra Barbara, Visan Ioana, De Vivo Concetta e De Vivo Eleonora». E poi sottolineano che «inoltre, la Minetti operava quale intermediaria nell'erogazione di contributi economici da parte di Berlusconi, tramite Spinelli Giuseppe, a Garcia Polanco, Faggioli Barbara, Loddo Miriam, Sorcinelli Alessandra, Skorkina Raissa, Barizone Lisney». Non solo, l'ex consigliere «organizzava in alcune occasioni, accompagnamenti in auto di alcune giovani donne presso la residenza di Arcore».

Chieste indagini anche su Ruby. Ipotizzato il reato di corruzione in atti giudiziari anche per la giovane marocchina e il suo ex legale l'avvocato Luca Giuliante. Il legale si sarebbe interessato «ai vari pagamenti in contanti e bonifici» che Karima avrebbe ricevuto «periodicamente». I giudici per Ruby in concorso con Giuliante hanno ipotizzato anche il reato di rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale. È quanto si legge nell'atto nella parte in cui il collegio ha disposto la trasmissione degli atti ai pm per Karima e Giuliante in riferimento al 'misteriosò interrogatorio della notte tra il 6 e il 7 ottobre 2010 della giovane davanti al legale, a Mora e «un emissario di lui». Giuliante avrebbe rivelato a Silvio Berlusconi il contenuto dell'«anomalo» interrogatorio a cui la giovane venne sottoposta nella notte tra il 6 e il 7 ottobre 2010. È quanto si legge nelle motivazioni del processo Ruby 2. I giudici nella loro ricostruzione hanno aggiunto che il Cavaliere «a sua volta rendeva partecipi delle notizie apprese vari personaggi del suo entourage, tra cui Nicole Minetti». Nell'interrogatorio a Karima vennero chieste notizie coperte da segreto istruttorio.ù

Gli avvocati Ghedini e Longo. «Le motivazioni della sentenza Ruby bis per quanto attiene l'asserita attività di inquinamento probatorio, sono totalmente sconnesse dalla realtà e dai riscontri fattuali». Lo dicono gli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo, difensori di Silvio Berlusconi, in una nota, in relazione a quanto sostenuto dai giudici della quinta sezione penale del tribunale di Milano, che hanno trasmesso gli atti a loro relativi alla procura, ipotizzando nei loro confronti un reato di corruzione in atti giudiziari. «I bonifici di 2.500 euro alle partecipanti alle serate di Arcore non sono affatto iniziati dopo la riunione del gennaio 2011 bensì solo nel marzo 2012 quindi dopo oltre un anno e di ciò vi è prova documentale», continuano i legali in una nota, sottolineando come sia «evidente quindi che non vi può essere connessione alcuna» tra i pagamenti e le loro testimonianze.

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