Stagione alla sbarra/Un processo ai corrotti, non un giudizio sulla Capitale

di Cesare Mirabelli
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Sabato 21 Novembre 2015, 01:36 - Ultimo aggiornamento: 5 Novembre, 00:04
Inizia il processo “Mafia Capitale” e c’è da chiedersi se una forma mafiosa di criminalità si sia insediata nella città di Roma, inquinando l’amministrazione e l’immagine del Paese. Lasciamo alla magistratura il compito, che le è proprio, di qualificare dal punto di vista del diritto penale se la serie reati contro la pubblica amministrazione addebitati ad un gruppetto di imprenditori, costituiti anche nella forma virtuosa delle cooperative, e a funzionari e politici locali collusi, abbia le caratteristiche dello stampo mafioso.

Non manca un preoccupante retroterra associativo nell’intesa e nella pratica di corrompere e spartirsi lucrosi appalti per la fornitura di beni o servizi alla pubblica amministrazione. Una connotazione criminale organizzata, che assume le caratteristiche della associazione di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza intimidatrice o dell’assoggettamento, anche mediante la corruzione, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione di attività economiche, di concessioni, di appalti e servizi pubblici per realizzare ingiusti profitti.

Il processo penale potrà accertare non solamente i singoli reati commessi e le responsabilità di ciascun imputato, ma anche se si è in presenza di una ben più pericolosa associazione di stampo mafioso. Non solo per un legame con la tradizionale criminalità organizzata che si identifica con quella denominazione.

Ma anche per una nuova forma di pervasività nelle amministrazioni, sino al collegamento con eletti nelle assemblee di enti locali. Al di là della dimensione penale è evidente il tradimento della Costituzione.

È chiaro quanto distino questi comportamenti, che le indagini della magistratura hanno messo in luce, dal dovere dei cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche di adempierle con disciplina ed onore, e quale vistoso contrasto vi sia con il dovere dei pubblici funzionari di essere al servizio esclusivo della Nazione, come appunto la Costituzione richiede ed impone. Tuttavia non si tratta solamente del tradimento di valori ideali, ma della lesione di principi che sono alla base del rapporto tra cittadini e istituzioni.



La fiducia della comunità si nutre ogni giorno della affidabilità degli apparati elettivi e dei corpi burocratici, della correttezza e della imparzialità delle persone che li rappresentano e gestiscono l’ingente ammontare delle risorse pubbliche. Anche l’andamento dell’economia risente fortemente del corretto andamento della pubblica amministrazione, deviato dalla corruzione che svisa la concorrenza, penalizza le imprese oneste, allontana dagli investimenti produttivi. Il processo “Mafia Capitale” avrà la sorte giudiziaria che sarà segnata dal dibattimento e dalle prove raccolte. Ma offre sin d’ora l’occasione non tanto per manifestare una ricorrente e sterile indignazione, quanto piuttosto per riflettere e cambiare pagina, con una attiva ed operosa reazione della società e delle istituzioni.



Rinnovare queste ultime, non solo nella selezione personale della rappresentanza politica, ma anche e soprattutto imponendo la trasparenza nella quotidiana azione amministrativa, con gli strumenti che l’ordinamento già prevede o disponendone di nuovi. Non minore rilievo ha l’impegno della società e del mondo produttivo a rifiutare le scorciatoie della corruzione, rendere pubblicamente noto, isolare ed espellere chi se ne avvale. Domani il cardinale Vallini presenterà, nella basilica lateranense, una “Lettera alla Città”. L’appuntamento, programmato da tempo in vista del Giubileo, cade in questo singolare contesto. Può essere una voce autorevole che sollecita tutti, credenti e non credenti, ad un nuovo impegno per il bene comune.



I cittadini e le istituzioni di Roma hanno le energie morali, sociali ed intellettuali per mettere in circolo anticorpi ed opporsi al degrado, per innestare un circuito virtuoso che si estenda all’intero Paese, giacché l’inquinamento della corruzione non è, purtroppo, prerogativa della capitale.