Parma come Genova: aperta un'inchiesta per disastro colposo

La magistratura al lavoro nella città emiliana sulla mancata allerta per l'alluvione del 13 ottobre
di Stefania Piras
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Mercoledì 22 Ottobre 2014, 16:54 - Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 22:06
Mentre Parma familiarizza con l’etichetta di Comune alluvionato e il suo quartiere Montanara che ha pagato l’esondazione del torrente Baganza con 400 tonnellate di fango spalate in una settimana prova a rialzarsi, ora anche la magistratura vuole vederci chiaro.



Tempo un giorno, trascorso quel terribile lunedì 13 ottobre, la Procura ha infatti aperto un’inchiesta per disastro colposo. Al pm Paola Dal Monte spetterà il compito di accertare se è stato fatto tutto il possibile per evitare quell’enorme colata di fango e acqua che ha sommerso un intero quartiere che conta 18 mila residenti. Oggi l’amministrazione parmigiana 5 stelle può solo contare i danni ingenti provocati dall’alluvione: 100 milioni di euro. Quante opere di prevenzione si costruirebbero con quei soldi che ora aspettano enti, privati e commercianti per ricostruirsi una vita? Qui c’è chi ha perso tutto, persino i documenti personali accuratamente custoditi in casa sono stati sfregiati dal fango. Senza contare i mobili, le cucine, gli elettrodomestici, le camere da letto, le caldaie finite a bagnomaria nella melma, le automobili che non si accendono più.



Lo sgomento, però, sta lasciando il posto alla rabbia. E come spesso accade il day after è costellato di domande semplici semplici. Si poteva evitare? Molti si chiedono perché non sia stato dato l’allarme in tempo quando nel primo pomeriggio arrivavano già notizie preoccupanti dall’Appennino. I sindaci della montagna, infatti, hanno cominciato a evacuare appena si sono accorti che la pioggia avrebbe ingrossato i fiumi a dismisura. Il torrente Baganza stava correndo a folle velocità a valle, verso Parma, dove poi avrebbe straripato. E per avere un’idea dei rischi basta sapere che sono intercorsi venti minuti tra l’onda che ha fatto irruzione in città e il suono della campanella delle 16.30 di una scuola vicino agli argini.



E’ vero: è stata la più grande piena di sempre e l’acqua ha fatto saltare nel giro di pochissimo le comunicazioni telefoniche. Ma il consigliere comunale democratico Nicola Dall’Olio calca la mano sulla mancata allerta e scrive che un avviso di preallarme da parte della protezione civile regionale era arrivato, alle ore 14. Ecco, i magistrati dovranno chiarire questo: cosa non ha funzionato nella complessa filiera che governa il sistema di allerta meteo, perché è crollato il ponte Navetta, e ancora: perché il territorio non si è dotato di opere di prevenzione che avrebbero attutito la furia del fiume, come la cassa d’espansione sul torrente Baganza, in grado di stoccare l’acqua e quindi metterla fuori gioco, lontano da case e strade urbane. Tutti la volevano, ma nessuno l’ha realizzata. In questi giorni si parla dell’opera come di uno strumento fondamentale. Il problema è che è dal 1984 che si discute dei progetti di messa in sicurezza del nodo idraulico del Baganza. La Regione aveva finalmente deciso di procedere così come risulta in un piano siglato nel 2011. Ma poi cosa è successo?



«L’indagine è un atto dovuto, ma è anche assurdo che nel 2014 si debba emanare un’allerta via fax» si sfoga il sindaco Federico Pizzarotti che sta sperimentando sulla sua pelle di amministratore di primo pelo i rischi e i danni prodotti da una pioggia eccezionale.