Colonnello a processo per mobbing contro maresciallo: «Insulti e minacce a un sottoposto»

Colonnello a processo per mobbing contro maresciallo: «Insulti e minacce a un sottoposto»
di Michele Galvani
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Lunedì 28 Aprile 2014, 09:21 - Ultimo aggiornamento: 29 Aprile, 08:22
​Ufficiale s, ma tutt’altro che gentiluomo. Accusato dei reati di ingiuria e minaccia a un inferiore continuate e aggravate, «nonché di diffamazione continuata e pluriaggravata», un colonnello dell’Aeronautica militare viene portato in tribunale da un maresciallo. Un caso di mobbing. Rarissimo nell’ambiente militare, dove per tradizione vengono considerati normali il nonnismo e l’abuso di autorità. Ma qui, in attesa di giudizio (l’udienza si terrà il 13 maggio presso la Corte militare di Appello di Roma), si è andati ben oltre. Il maresciallo Bruno Marrocco è stato congedato con la diagnosi di «grave depressione e disturbo dell’umore» per aver subìto a lungo minacce pesanti come «basta mi hai rotto i c...» oppure «ti rovino» come si legge negli atti giudiziari firmati dal sostituto procuratore militare di Roma Antonella Masala. L’ufficiale sotto accusa si difende: «Il maresciallo non aveva un comportamento consono e dava segni di stress psico-fisico».



L’AMERICA

Teatro della contesa è la base militare italiana di Sheppard, in Taxas: qui prestano servizio il colonnello G.P. e il maresciallo Bruno Marrocco. I fatti risalgono alla fine del 2009. Secondo il pm il colonnello «con più condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso, offendeva prestigio, onore e dignità dell’inferiore in grado Marrocco Bruno». La reazione sarebbe dovuta alla richiesta del maresciallo di essere ricevuto a rapporto. Dal canto suo l’ufficiale comunica «a più autorità militari in Patria e negli Usa» i motivi della sua reazione: «Egli è stato oggetto di un richiamo per comportamento non consono, sia sotto il profilo disciplinare che per quello etico, avendo articolato con tono di voce aggressivo bestemmie che sono state udite anche dai colleghi, millantando un suo stato di salute precario». In più «sventolava in maniera plateale certificati medici peraltro mai ufficialmente consegnati al momento della contestazione». Il percorso per arrivare all’udienza è stato lungo e tortuoso. Prima la richiesta di rinvio a giudizio del pm Antonella Masala, poi la richiesta di non luogo a procedere formulata per ben tre volte, in distinte fasi del procedimento dal pm di udienza, per «difetto di condizione di procedibilità e perché il fatto non costituisce reato».



LE TAPPE

All’esito del dibattimento di primo grado conclusosi con l’assoluzione dell’imputato con la formula perché il fatto non sussiste, il Procuratore Capo della Procura Militare di Roma Marco De Paolis e il suo sostituto Antonella Masala, unitamente alla parte civile, difesa dall’avvocato Massimiliano Strampelli, appellavano la sentenza di proscioglimento non condividendo le conclusioni del pm di udienza. Insomma, una questione così delicata da far spaccare la Procura. La Procura militare nell’impugnare la sentenza di assoluzione ritiene «del tutto attendibile la deposizione di Marrocco: l’imputato proferiva al predetto Marrocco espressioni offensive». E scrive di una «confusa versione fornita dallo stesso G.P. il quale pare piuttosto stravolgere gli eventi». De Paolis chiede alla corte militare d’Appello di «riconoscere l’imputato responsabile di entrambi i reati contestatigli». L’avvocato di Marrocco, Strampelli parla di un «significativo segnale della Procura Militare di attenzione agli abusi dei superiori nella disciplina e nell’azione di comando del personale» e di una «richiesta danni che è parametrata a un danno permanente psichico del 15% e alla perdita dei benefici economici della missione». G.P. è difeso dall’avvocato Claudio Maria Polidori.
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