Migranti, quattro gli scafisti della strage: «Il capo pagato 10mila dollari»

Migranti, quattro gli scafisti della strage: «Il capo pagato 10mila dollari»
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Sabato 25 Aprile 2015, 11:11 - Ultimo aggiornamento: 11:16
dal nostro inviato

Nino Cirillo

CATANIA - C’erano due somali incaricati di «gestire le porte chiuse a chiave» delle stive, morti in mare anche loro alla fine. E due criminali che li comandavano, e che si sono salvati: il tunisino «munito di pistola e bastone, armi che aveva utilizzato durante la traversata per mantenere l’ordine» e il suo compare siriano, «che collaborava affinché tutti eseguissero gli ordini del capitano».





Quattro ceffi da galera comunque, loro quattro e i 750-800 migranti -nessuno conoscerà mai la cifra esatta- che alle 19.35 di sabato 18 aprile decidono di lanciare l’allarme. Sara un’ecatombe, ma nessuno lo può ancora sapere. Non lo può immaginare il comandante del mercantile portoghese King Jakob, il primo dirottato su quel tratto di mare -60 miglia dalle coste libiche, 130 da Lampedusa-, non lo potrà prevedere neanche nave Gregoretti, della nostra Marina militare, che arriva sul posto alle 23.42, con l’incarico di comandare le operazioni. Fino a quando, a mezzanotte e mezza in punto, non arriva a Roma il dispaccio che chiude la partita: «Comunichiamo la presenza di cento corpi in mare». Figurarsi gli altri, già inghiottiti dalle acque.È tutto scritto nelle tredici paginette che il giudice per le indagini preliminari di Catania, Maria Paola Cosentino, ha firmato in calce nel decidere la convalida del fermo di Mohammed Alì Malek e Mahmud Bikhit, il tunisino e il siriano appunto, ma soltanto a loro dire, solo perché così hanno voluto mettere a verbale. Continuano a fare capriole durante gli interrogatori, ma nessuno gli crede. Alì Malek si dichiara una specie di vittima di una guerra etnica a bordo di quel barcone: «Le persone che mi accusano lo fanno perché il vero capitano era della loro stessa lingua, si saranno messi d’accordo». Il sedicente siriano fa ancora di più, scarica tutto su di lui: «Io ero solo un passeggero».



INCIDENTE PROBATORIO

Ma c’è una montagna di testimonianze a inchiodarli, cinque soprattutto, due delle quali, grazie all’incidente probatorio, sono già prove processuali. Quanto sia importante e prezioso il materiale investigativo raccolto lo ha voluto confermare lo stesso procuratore della Repubblica di Catania, Giovanni Salvi, in una conferenza stampa convocata a sorpresa alle tre del pomeriggio. «Le polizie di tutti i paesi collaborano -ha detto Salvi- e non escludiamo neppure il recupero del relitto».Ma il lavoro della Procura è già tutto lì, nell’ordinanza di convalida del fermo di Ali Malek e Bickhit. Dove si scopre che per quella traversata costata così tante vite umane Ali Malek aveva già intascato 10mila dollari. Lo raccontano i supertestimoni: «Ci avevano detto di stare tranquilli perché era stato trovato un buon comandante...». Sono racconti che partono dalla «fattoria», da quella specie di lager dove si può stare un giorno o due mesi in attesa del passaggio giusto, dove nel frattempo si può morire di botte e di stenti, come ha accertato la procura di Catania. Dove si affacciano i veri boss di questo traffico, o almeno si sentono i loro nomi durante le telefonate. Un certo «Has», o un altro, Jaffar, indicato come il «grande direttore».



TRE VOLTE

Ma sono i momenti del naufragio quelli ancora tutti da scrivere.
Un certo Kalifa riferisce di aver visto questo: «Il conducente della nostra imbarcazione, notando che l’equipaggio non era di nazionalità italiana, invece di avvicinarsi, provava ad allontanarsi, urtando per tre volte il mercantile e al terzo urto il nostro natante si è capovolto». Tre volte a sbattere di prua, come si sapeva già, e poi una specie di fuga solo perché il portacontainer batteva bandiera portoghese. Ecco, qui c’è stata la strage. E non si riesce a capire neppure se il «comandante» al momento dell’ultimo impatto fosse ancora al timone perché c’è un altro sopravvissuto che racconta: «Poco prima dell’incidente aveva lasciato la guida ad altra persona inesperta», per confondersi con gli altri, per sfuggire alla cattura. Per afferrare il satellitare e gridare al suo boss: «Libico, noi moriremo». E non è andata neppure così.
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