Migranti, il barcone della morte a Pozzallo. I sopravvissuti: violenze inaudite da trafficanti

Medici a Pozzallo
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Martedì 1 Luglio 2014, 17:12 - Ultimo aggiornamento: 2 Luglio, 09:28

Si sta rivelando un'operazione particolarmente difficile quella

del recupero delle salme dei circa 30 migranti nel peschereccio ormeggiato da oggi nel porto di Pozzallo.

I corpi si trovano nel vano ghiacciaia, dove si custodisce il pesce durante la navigazione. È quanto emerge da un'ispezione dei locali compiuti dalla Squadra Mobile della Questura. Intanto i Vigili del Fuoco con delle autobotti stanno "decontaminando" il peschereccio. Non è esclusa l'ipotesi che il natante venga scoperchiato per permettere il recupero dei corpi.

Continua nel frattempo senza sosta il lavoro degli investigatori della squadra mobile di Ragusa che hanno già ascoltato diversi immigrati che erano sul barcone della morte.

Gli immigrati ascoltati finora hanno raccontato di inaudite violenze subite da parte dei trafficanti libici che li hanno trattati come bestie. I migranti, in base alle loro testimonianze, sembra che abbiano anche chiesto, invano, di poter tornare indietro considerando di essere stati ammassati in 600 in un piccolo barcone.

«Trattati come bestie dai libici» che hanno compiuto «violenze inaudite nei confronti di tutti, ma in particolare degli uomini del Centro Africa». È la ricostruzione concorde dei diversi testimoni ascoltati dalla squadra mobile e al vaglio della Procura di Ragusa. Tre le persone sentite anche amici e lontani parenti delle vittime, alcune delle quali hanno già un nome, anche se non ancora ufficialmente. «Abbiamo provato a salvarli appena ci siamo resi conto di quello che stava accadendo - ricorda una di loro - abbiamo fatto di tutto ma purtroppo era tardi, sembrava dormissero, non pensavamo fossero morti...».

Tutti accusano i trafficanti libici: «è stata tutta colpa loro - ricostruisce un migrante testimone dell'accaduto - ci hanno messo li dentro come le bestie e non potevamo neanche uscire perché sopra era tutto pieno, non ci potevamo muovere».

«Abbiamo chiesto di potere tornare indietro - ha rivelato un migrante sopravvissuto - perché eravamo troppi e rischiavamo, ma non c'è stato alcunchè da fare: ci hanno detto "ormai siete qui e dobbiamo arrivare in Italia"».

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