Droni, sottomarini e navi: guerra aperta agli scafisti

Droni, sottomarini e navi: guerra aperta agli scafisti
di Marco Ventura
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Mercoledì 7 Ottobre 2015, 05:43 - Ultimo aggiornamento: 8 Ottobre, 13:30
La portaerei è il “Cavour” (le navi militari per convenzione sono tutte di genere “maschile”) con 4 aerei a decollo verticale AV8B, monomotori a getto da attacco al suolo che restano sotto comando nazionale, ma anche elicotteri EH101 e AB212, più tiratori scelti come negli scenari dell'anti-pirateria nel Corno d'Africa, e supporto logistico nelle basi di Augusta, Sigonella e Pantelleria. Ci sono poi, a disposizione, un sommergibile e due droni, MQ-1 e MQ-9, cioè velivoli a pilotaggio remoto essenzialmente per le ricognizioni e l'attività di spionaggio dal cielo. Il dispositivo italiano che fa parte della missione anti-scafisti Eunavfor Med, si chiamerà Sophia, in onore della bambina nata su una nave durante un salvataggio. Obiettivo, i trafficanti di esseri umani e i natanti che usano. Da intercettare e distruggere in acque internazionali, ovviamente dopo aver messo in salvo i migranti.



LO SCENARIO POLITICO

Lo scenario politico-diplomatico è più incerto, in realtà, di quello militare, anche se non è stato facile rinvigorire l'assetto di Eunavfor Med in vista del secondo scalino fortemente, voluto dall'Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza della UE, la nostra Federica Mogherini, che prevede «un incremento della pressione su scafisti e trafficanti mediante visite, abbordaggi, perquisizioni e sequestri in acque internazionali». C'è un'ipotesi, persino, di intervento in acque territoriali sotto l'ombrello della fase 2, ma solo «qualora richiesto dalle Nazioni Unite o dal governo dello Stato costiero interessato». Prospettiva tuttora remota, per le divisioni interne alla Libia e per la ritrosia russa al semaforo verde nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Lo “Stato costiero interessato” è la Libia: meglio non mettere nero su bianco, sul sito della Difesa, il nome di quel Paese che un tempo era un fattore di stabilità nel Mediterraneo e oggi è il principale trampolino dei boat people. La Libia è in preda a una sanguinosa guerra tra bande, con enclave che si sono unite al Califfato sunnita di Baghdadi. Ormai accertati i legami tra scafisti e jihadisti. Pronti a intervenire sono i marò del San Marco e i Comsubin, gli incursori della Marina addestrati alle immersioni così come ai lanci col paracadute. Mare, terra, aria. Il comando dell'operazione europea è in capo all'Ammiraglio di divisione Enrico Credendino, dal quartier generale installato nell'aeroporto militare di Roma Centocelle. A comandare il dispositivo aeronavale (Force Commander) il Contrammiraglio Andrea Gueglio, sul “Cavour”. I Paesi che aderiscono alla missione, sulla carta sono 14, ma non tutti hanno garantito una fornitura adeguata di mezzi. I tedeschi schierano da tempo la fregata Schleswig-Holstein con la nave appoggio A514 Werra, cui si aggiunge la britannica HMS Enterprise dislocata a Malta. I francesi hanno ultimamente rafforzato la loro presenza, contando pure sul numero 2 nella catena di comando, il contrammiraglio Hervé Blejean.



I NUMERI

In tutto, nella missione si parla di almeno 4mila uomini. Oltre a Italia, Germania, Regno Unito, Francia, in campo Belgio, Grecia, Finlandia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria. Elemento non secondario è l'assistenza sanitaria ai naufraghi, con l'ospedale imbarcato sulla portaerei. La missione ha certamente lo scopo di contrastare gli scafisti, e soprattutto distruggere le imbarcazioni una volta libere da migranti, tuttavia questi ultimi vanno soccorsi. Per questo sono operativi i supporti sanitari, a bordo e a terra. Perché la legge del mare impone di salvare chi è in pericolo e i naufraghi. Ma la novità, rispetto alle precedenti missioni di Frontex e Mare Nostrum, è che cambia esplicitamente l'obiettivo, e che la fase 2 dovrebbe essere un assaggio della fase 3 con l'intervento non più solo in acque territori, ma libiche e direttamente a terra, specie nei porti di partenza dei migranti. Fino a quel momento, la missione avrà limiti d'ingaggio rigorosamente dettati dalla politica.