Mafia Capitale, serve pulizia, ma senza usare
la clava politica

di Paolo Graldi
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Sabato 21 Novembre 2015, 02:12 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 00:18
Ciak si gira: sono partite a palazzo di giustizia, nell’aula grande intitolata a Vittorio Occorsio, le riprese tv del processo che nasce dall’inchiesta chiamata “Mafia Capitale”. Un assalto mediatico e insieme un assaggio di quell’evento giudiziario che si svilupperà per mesi attraverso un calendario tambureggiante di udienze, quattro la settimana, fino ai furori di luglio. E con le luci della ribalta tutte accese, polemiche fin che ne volete, a caldo, a freddo, da snack bar o da ristorante di lusso. C’è di tutto in questa kermesse politico giudiziaria. Compreso il bisogno di trarne utili insegnamenti.

Era dai tempi delle Brigate Rosse alla sbarra nella vicina aula bunker per l’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta, anni Ottanta, che non si osservava un simile spiegamento di giornalisti, giornali e tv, in un assedio tipico delle inaugurazioni e tuttavia di proporzioni planetarie. Roma mafiosa, mafia Capitale: è intorno a questo brand che gira un interesse mediatico, politico e, naturalmente giudiziario, di inedite proporzioni. I giudici togati dovranno dipanare una matassa complessa e inquietante, con vaste implicazioni anche istituzionali.



Le stesse che hanno portato alle dimissioni del sindaco Ignazio Marino, al dissolversi della sua Giunta e al doppio commissariamento della Capitale, un prefetto per Roma e per il Giubileo, un altro prefetto per guidare la transizione verso il voto, previsto per la prossima primavera.



La mappa dei reati contestati dalla pubblica accusa, delle compromissioni acclarate, dei vincoli di “disciplina e onore” gettati alle ortiche in qualche caso per un piatto di lenticchie, l’abbassarsi allarmante degli obblighi e dei doveri legati alla cosa pubblica, l’intreccio tra vecchi arnesi della malavita spavalda e ambiziosa e del terrorismo nero con soggetti con marchiature criminali e poi redenti solo in apparenza (tanto per non far nomi Carminati e Buzzi, protagonisti assoluti dei fattacci a giudizio) venuti a patti con alti dirigenti e funzionari del Campidoglio ma anche con figure di spicco nei partiti (il territorio dell’ex sindaco Alemanno ma anche i recinti troppo aperti dell’ex sindaco Marino).



Tutto ciò costruisce nell’insieme un affresco umiliante per la città e per i suoi cittadini. I quali, città e cittadini, sia chiaro, sono parte lesa di questa baldoria criminale, chiamati, certo loro malgrado, a pagare cash tutti i derivati negativi e, purtroppo quotidiani. Il processo è fatto apposta, è la sua stretta natura, per accertare responsabilità. Ed è massimo l’augurio che questo risultato possa essere raggiunto nel massimo della trasparenza e delle garanzie. Le polemiche, già innescate, deflagreranno assordanti nei momenti topici del dibattimento ma non sarà inutile raccomandare fin da adesso una netta separazione tra la città e i suoi mali.



La cisti maligna del malaffare, ancorché diffuso in gangli delicatissimi, andrà chirurgicamente circoscritta, estratta, tolta di mezzo lasciando il tessuto sano, vasto, ampio, intatto. Non è della clava che si sente il bisogno. Questo, mai. Per niente in questo frangente. Nessuna operazione sommaria sarà utile, anzi, al contrario, straordinariamente dannosa. Chi perseguirà la strategia del todos caballeros e quindi nessun colpevole, andrà dialetticamente isolato perché elemento inquinante. Qui c’è bisogno di chiarezza, di separazione del grano dall’oglio, di rappresentazioni delle responsabilità precise e non suggestive.



Davvero, a ciascuno il suo. La città nell’osservare il dipanarsi dell’enorme scandaglio giudiziario dovrà essere messa in grado di farsi una idea composita e insieme chiara dell’accaduto, intuire se c’è dell’altro marcio da rimuovere, di dove andare a cercarlo per rimuoverlo in fretta e bene. Informati e consapevoli: la magagna delinquenziale che tiene la capitale del paese in una specie di prolungata anestesia deve fornire a tutti, e a tutto tondo, una lezione di etica applicata alla politica: un corso di educazione civica con gli esami che non finiscono mai e valgono per tutti.



Tra meno di un mese si apre la grande stagione del Giubileo della Misericordia, milioni di cittadini del mondo converranno a Roma e la città che ospita il Vaticano dovrà saper riscattarsi da una lunga stagione di colpevoli distrazioni. Roma ridotta a capitale delle emergenze in tempi emergenziali deve vincere la sfida dell’accoglienza coniugata con la sua faticosa normalità. E riprendersi da un sonno stordito nel quale chi è rimasto sveglio ha cercato di impadronirsene.



La realtà è che questa città, esposta ad un sacrificio pesante per il recupero della piena agibilità democratica, dovrà fronteggiare una congiuntura nella quale, come l’influsso contrario di astri diversi, sarà attraversata nei prossimi mesi da una campagna elettorale certamente incandescente, che sconta il deflagrare continuo delle formazioni un tempo roccaforti inespugnabili. Partiti tradizionali sotto le macerie, movimenti nuovi all’appuntamento con impegnativi collaudi di fronte a una città delusa e prostrata. Guai se la stanchezza e il disincanto lasciassero il campo ai fuochi interessati dell’agone politico elettoralistico.



La lezione di Mafia Capitale che già si può trarre è che le malefatte a Roma prenderanno con risolutezza la via dell’accertamento giudiziario e delle sanzioni lasciando agli anticorpi crescere, rafforzarsi, nutrirsi del sano cibo del leale confronto e del rigore morale. Il processo, dunque, faccia il processo, resti nel suo quadrilatero di leggi e procedure e la città, che è di tutti gli altri, riprenda subito il cammino. Con molti sogni fatti con i fatti.