Fiumicino, il cittadino resta senza il diritto a essere informato

di Paolo Graldi
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Giovedì 30 Luglio 2015, 23:39 - Ultimo aggiornamento: 31 Luglio, 00:12
Chi non era, per fortuna sua, tra i malcapitati viaggiatori che hanno vissuto le ultime quarantotto ore all’aeroporto di Fiumicino, hub intercontinentale, porta dell’Italia sul mondo, avrà certamente visto in tv la tempesta di filmatini mandati in rete per documentare l’accaduto.

Una odissea della frustrazione prima e furore poi che ha investito come un’onda di piena improvvisa e impazzita migliaia e migliaia di turisti e non, tutti con il biglietto ed il check-in in mano, pronti per l’imbarco. Il devastante incendio della pineta a ridosso delle piste, l’aeroporto avvolto dal fumo, il conseguente forzato blocco dei voli, l’impatto sulla complessa macchina degli arrivi e delle partenze, dei decolli e degli atterraggi: questa sequenza di scosse successive, nei giorni di maggior traffico, ha tramortito per lunghissime ore il trasporto aereo italiano, con riverberi impietosi su quello internazionale.

Non bastava tutto questo. Nella faticosa risalita verso la normalità ci si è messo un black-out elettrico che ha spento l’intero pianeta del Leonardo da Vinci come in un film che si ferma all’improvviso su una istantanea e non riesce ad andare più avanti.



In questo quadro, capace di rovinare le vacanze al più ottimista e paziente viaggiatore, si inserisce una maledettissima tradizione, non si sa quanto esclusiva italiana, e tuttavia molto ben rappresentata da noi, nei diversi settori. Questa maledizione che è un misto di stucchevole superficialità, forse di malcelata e però evidente noncuranza, di caduta di professionalità e, alla fine, di insopportabile arroganza si abbatte sul viaggiatore come un ceffone. Essa si manifesta, in caso di crisi improvvisa per qualche ragione, nel considerare l’informazione al passeggero sul suo destino prossimo venturo un surplus non dovuto, un bonus non incassabile, un servizio non contemplato. Il passeggero che aspetta di partire non ha diritto a niente. Non può chiedere di sapere come, se e quando potrà imbarcarsi e, finalmente, avvertire chi lo aspetta dell’arrivo previsto a destinazione.



Dai banchi delle compagnie imbarazzate hostess allargano le braccia. Gli altoparlanti tacciono, i quadri luminosi non segnalano notizie. Si vive in un limbo indefinito e infinito, le previsioni sono azzerate, le aspettative di chiarimenti rispedite al mittente. Gente che ha dormito sdraiata per terra, accasciata sui carrelli bagagli, bambini piangenti per il caldo e la fame, anziani compostamente rannicchiati sulle sedie di metallo, tanto igieniche quanto scomode. Si sono viste scene davvero inedite. Persino una hostess in divisa verde farsi largo a spintoni, prendere di petto un passeggero e sospingerlo via, tra l’incredulità degli astanti, a braccia alzate come quando allo stadio si protesta per un rigore inesistente, concesso alla squadra avversaria.

Su questi fatti si andrà formando l’immagine di una organizzazione del disagio lasciata allo sbando.



Nessuno sa niente, nessuno è autorizzato a informare. Neppure gli informatori ne sanno qualcosa. Tacciono, si prendono gli scherni esasperati di chi si sente ostaggio di una macchina in panne e senza meccanici, privata del senso del tempo, dell’attesa, della programmazione più elementare. Questo del diritto ad essere informati va reclamato, preteso, esigito perché non c’è full out che tenga e che possa giustificarlo. Lo stesso vale anche per i disagi procurati ai cittadini su altri fronti, particolarmente su quello dei trasporti pubblici. Scioperi improvvisi, assemblee decise all’impronta, proteste di vario genere, tutto concorre a umiliare il servizio e dunque chi paga per poterne usufruire.



Occorrono regole capaci di proteggere il diritto all’informazione e severe sanzioni per chi non si è dotato dei mezzi necessari allo scopo. Passeggeri atterrati da Varese, l’altra sera, dopo 2 ore di attesa in pista senza che venisse loro comunicato il perché, hanno appreso dopo molte proteste la vera ragione dello stallo tanto prolungato: «È il comandante che vi parla. Il ritardo è dovuto alla mancanza di scalette per la discesa dall’aeromobile. Stanno provvedendo. Due ore dopo. Due volte il tempo del volo. Sul ritiro bagagli stendiamo un velo pietoso. Ecco, arrivati a destinazione, non si può scendere perché non trovano una scala da mandare. Una perfetta metafora che spiega molte cose sul disagio italiano, anche senza che ce lo vengano a raccontare i compiaciuti corrispondenti dei giornali stranieri.