Dietro la tragedia/ Se la tecnologia a volte tradisce

di Antonio Pascale
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Martedì 24 Marzo 2015, 22:14 - Ultimo aggiornamento: 25 Marzo, 00:07
Certo fa davvero impressione vedere la traccia dell’Airbus A 320 spegnersi tra le montagne nei pressi di Méolans-Revel vicino a Digne-les-Bain, nel dipartimento delle Alpi dell’Alta Provenza in Francia. Sappiamo che le statistiche confermano e riconfermano l’aereo come il mezzo più sicuro, ma in certi casi funziona un principio psicologico molto netto. Il nostro cervello fa scattare un’euristica, cioè una sensazione intuitiva.



Se muoiono tante persone e tutte insieme - e a bordo del volo 4U 9525 c’erano 144 passeggeri, 2 piloti e altri 4 membri dell’equipaggio - reagisci con la paura ed evita quella situazione. Non si tratta solo della paura della morte, ma di morire in un determinato modo, tutti insieme, nello stesso istante e in breve tempo. Non solo: pensiamo alle povere vittime, cosa avranno provato, e speriamo, con tutta l’empatia possibile, che non se ne siano accorti, non abbiano sofferto. Questa sensazione ci ha accompagnato fin dagli esordi della nostra storia evolutiva e non sarà facile scrollarsela da dosso. Anche perché la certezza è un’illusione altrettanto pericolosa, e in una società complessa poi, genera dei fastidiosi problemi, ci porta a pensare che possiamo e dobbiamo controllare tutto, ci fa compiere scelte sbagliate o non ci fa muovere affatto.



Purtroppo esistono, in ogni azione umana, elementi imponderabili. Poi, nel caso specifico, la scatola nera e le indagini chiariranno le cause del disastro, e capiremo meglio. Quello che si può dire sulla base delle esperienze degli incidenti aeronautici, è che difficilmente esiste una sola causa. La serie televisiva, indagine ad alta quota offre interessanti e utili aspetti conoscitivi. Quasi sempre si tratta di una catena di errori umani, anche se a volte il principale indagato è, per esempio, uno strumento danneggiato. Conta il modo di reagire dei piloti rispetto al malfunzionamento. La tecnologia è più sicura di noi umani? Per quanto addestrati con rigidi protocolli siamo soggetti all’errore? Sì, forse. Tuttavia è importante sottolineare che non esiste una rigida separazione tra apparato tecnologico e essere umano. Conviene citare un caso di incidente aereo finito bene. Il comandante Sullenberger riuscì a far planare l’aereo sul fiume Hudson. Bravissimo. Per completezza di informazione, e anche per rafforzare il gesto, si deve ammettere che Sullenberger non ha agito da solo.



Uno dei momenti di maggiore vulnerabilità dei jet di linea si registra quando gli uccelli vengono inghiottiti dai motori. Gli attuali jet vengono quindi sottoposti a test rigorosi per verificare il grado di resistenza dei motori. Tra le altre cose con una macchina sparapolli. Alla base militare Arnold, nel Tennessee un team di scienziati e ingegneri utilizza gas elio ad alta pressione per lanciare carcasse di pollo a forte velocità contro i motori accesi. Sembra una cosa stupida, ma lo stormo di oche canadesi che quel giorno, a New York si scontrò contro i motori dell’aereo non riuscì a romperli. Si conservarono integri, tutti e due. Anzi, l’attività di collaudo dei motori è stata così efficace che il nucleo del motore sinistro non si è spento, ha continuato a girare, non con piena potenza ma tanto bastava per garantire quel minimo di spinta necessaria per atterrare. A questo va aggiunto un sistema di controllo computerizzato, fly-by-wire. Il software riesce a fornire al pilota informazioni e assistenza anche con il pilota automatico disattivato.



Ciò significa che il coraggioso Sullenberger quel giorno ai comandi non era solo, il motore riusciva a tenere in vita le apparecchiature elettroniche, quindi la commovente discesa nelle acque del fiume fu assistita da un partner silenzioso, un computer che rappresentava l’intelligenza collettiva maturata dopo anni e anni di ricerca e progettazione. Quindi l’ammaraggio è stato in realtà una danza, tra il pilota e centinaia e centinaia di tecnici che per anni hanno fatto riunioni per misurare, valutare. Non siamo perfetti, le tragedie avvengono e noi ci ritiriamo spaventati, ma ammettere i nostri errori è un buon punto di ripartenza, significa che dobbiamo impegnarci tutti insieme per garantire i futuri atterraggi, affinché siano sempre più sicuri, così che possiamo commuoverci quando le cose vanno a buon fine. Come disse il comandante Sullenberger: «Vi riporto tutti a casa».