«Via Fani, c'erano due agenti dei servizi sulla Honda che aiutò i brigatisti». Il racconto di un ex ispettore

Aldo Moro prigioniero delle Br
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Domenica 23 Marzo 2014, 14:12 - Ultimo aggiornamento: 24 Marzo, 09:12

Tutto partito da una lettera anonima scritta dall'uomo che era sul sellino posteriore della Honda in via Fani quando fu rapito Moro. Diede riscontri per arrivare all'altro. Dovevano proteggere le Br da ogni disturbo. Dipendevano dal colonnello del Sismi che era lì»: lo ha raccontato all'Ansa Enrico Rossi, ispettore di polizia in pensione.

La lettera anonima. Rossi racconta che tutta l'inchiesta è nata da una lettera anonima inviata nell'ottobre 2009 a un quotidiano. Questo il testo: «Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte, come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose, ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente...».

L'anonimo fornì anche concreti elementi per rintracciare il guidatore della Honda. «Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne di più». Il quotidiano all'epoca passò alla questura la lettera per i dovuti riscontri. A Rossi, che ha sempre lavorato nell'antiterrorismo, la lettera arriva sul tavolo nel febbraio 2011 «in modo casuale: non è protocollata e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole poco a identificare il presunto guidatore della Honda di via Fani». Sarebbe lui l'uomo che secondo uno dei testimoni più accreditati di via Fani - l'ingegner Marini - assomigliava nella fisionomia del volto ad Eduardo De Filippo. L'altro, il presunto autore della lettera, era dietro, con un sottocasco scuro sul volto, armato con una piccola mitraglietta. Sparò ad altezza d'uomo verso l'ingegner Marini che stava «entrando» con il suo motorino sulla scena dell'azione.

«Chiedo di andare avanti negli accertamenti - aggiunge Rossi - chiedo gli elenchi di Gladio, ufficiali e non, ma la "pratica" rimane ferma per diverso tempo. Alla fine opto per un semplice accertamento amministrativo: l'uomo ha due pistole regolarmente dichiarate. Vado nella casa in cui vive con la moglie ma si è separato. Non vive più lì. Trovo una delle due pistole, una beretta, e alla fine, in cantina poggiata o vicino ad una copia cellofanata della edizione straordinaria de La Repubblica del 16 marzo con il titolo "Moro rapito dalle Brigate Rosse", l'altra arma». E' una Drulov cecoslovacca, una pistola da specialisti a canna molto lunga che può anche essere scambiata a vista da chi non se ne intende per una piccola mitragliatrice.

Rossi insiste: vuole interrogare l'uomo che ora vive in Toscana con un'altra donna ma non può farlo. «Chiedo di far periziare le due pistole ma ciò non accade». Ci sono tensioni e alla fine l'ispettore, a 56 anni, lascia. Va in pensione, convinto che si sia persa «una grande occasione perché c'era un collegamento oggettivo che doveva essere scandagliato». Poche settimane dopo una «voce amica» gli fa sapere che l'uomo della moto è morto e che le pistole sono state distrutte. Rossi attende molti mesi - dall'agosto 2012 - prima di parlare, poi decide di farlo, «per il semplice rispetto che si deve ai morti».

Rossi (Pd): novità sconvolgenti, Br tutelate. «Anche se la politica non vuole occuparsi del caso Moro, i suoi misteri sono destinati a rivelarsi nel corso del tempo. Le novità di oggi sono sconvolgenti e mettono a tacere i detrattori della nuova commissione d'inchiesta. Il merito va a quel giornalismo d'inchiesta che sa muoversi con cautela, indipendenza e determinazione»: lo afferma Gero Grassi, vicepresidente dei deputati del Pd e promotore della proposta di legge che istituisce l'organismo parlamentare e di cui si attende l'approvazione al Senato.

«Ora non si potrà più dire che l'agguato di Mario Fani fu il frutto della geometrica potenza delle Brigate Rosse che furono in realtà quantomeno osservate e tutelate nei loro propositi - dice Grassi - Era del resto scritto negli atti della magistratura che l'evento di via Fani non era riconducibile solo alle Brigate Rosse. Lo hanno dichiarato più volte Alberto Franceschini e la vedova del maresciallo Oreste Leonardi: i nodi critici della mattina del 16 marzo sono tutti inseriti nel dossier "Moro" pubblicato dal Gruppo Pd della Camera che evidentemente aveva visto giusto. A questo punto abbiamo la responsabilità di raccogliere questa ed altre recenti novità e tentare di ricostruire una nuova versione dei fatti per capire chi ha tramato per ottenere la morte di Aldo Moro. Qualcuno dirà che tutto questo deve essere solo oggetto di attenzione della magistratura: così si sono espressi i colleghi del M5S in aula durante la discussione della proposta di legge. Ebbene gli diciamo che ognuno svolge il proprio ruolo certamente noi non siamo disponibili a rinunciare al nostro perchè il caso Moro non è un puro fatto criminale ma un caso politico che ha cambiato il corso degli eventi nel nostro paese».

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