Aborto, troppe anestesie totali e la maggior parte delle donne non si ricovera

Aborto, troppe anestesie totali e la maggior parte delle donne non si ricovera
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Domenica 9 Febbraio 2014, 16:32 - Ultimo aggiornamento: 20:18
Troppe anestesie generali per le interruzioni volontarie di gravidanza - se pure in contrasto con le indicazioni formulate a livello internazionale - e poche le donne che dopo aver scelto l'aborto farmacologico restano in ospedale per i tutti e tre i giorni previsti da una circolare ministeriale. Sono alcuni dei dati che emergono dalla relazione annuale sull'attuazione della legge 194, trasmessa dal ministro della Salute al Parlamento lo scorso settembre. Elementi che la deputata Pd Elena Carnevali, che la prossima settimana presenterà il testo in Commissione Affari Sociali della Camera, ha intenzione di approfondire. «Effettuare l'82% degli interventi per interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) in anestesia generale, è una scelta - spiega la relatrice - non giustificabile dal punto di vista della salute delle pazienti».



Spesso, come ricorda Giovanna Scasellati, direttrice del Reparto Ivg dell'ospedale San Camillo di Roma, «sono proprio le donne a richiederla e comunque quella attualmente in uso dura pochi minuti». Come ricorda la relazione stessa, però, e come consiglia l'Organizzazione mondiale della Sanità, è «da preferire» l'anestesia locale «per minori rischi per la salute della donna, minor richiesta di analisi, minor impegno di personale ed infrastrutture e di conseguenza minori costi». E non è l'unica criticità emersa. L'altra riguarda il metodo di somministrazione della Ru 486 per la quale è previsto un ricovero di tre giorni. Secondo la relazione, il 76% delle donne che ricorre alla pillola abortiva richiede le dimissioni volontarie, prima dello scadere dei tre giorni. «Visto che la prescrizione non viene rispettata e non ci sono conseguenze per questo - osserva la deputata Pd - chiederemo una verifica al Ministero della Salute, per capire se sia realmente necessaria». A dire di 'no' sono in molti. In primis Silvio Viale, responsabile del Servizio 194 dell'Ospedale Sant'Anna di Torino e promotore dell'introduzione, in Italia, della Ru486, il cui utilizzo tra il 2010 e il 2011 è raddoppiato passando dal 3,3% delle interruzioni volontarie al 7,3%.



«È un'ipocrisia, una norma inutile e vessatoria. Non c'è nessun motivo medico per tenere la donna in ospedale». L'aborto farmacologico a base di Mifepristone e Prostaglandine, che non richiede anestesia e non presenta i rischi dell'aspirazione, inoltre, spiega Viale «in tutti i Paesi al mondo è registrato come ambulatoriale o domiciliare. Nessuno butta via i soldi in momento di crisi e taglio di posti letto». Altro tratto da approfondire per Elena Carnevali del Pd, è «il disinvestimento che c'è stato negli ultimi anni nei confronti dei consultori pubblici»: nel 2011 erano 2110, quasi un centinaio in meno rispetto al 2010. «Tra i lati positivi - rileva ancora Carnevali - il calo generale delle interruzioni volontarie di gravidanza»: nel 2012 sono state 106 mila, cioè -5% rispetto al 2011 e -55% rispetto al 1982.



«Purtroppo resta alto il numero delle straniere e così come quello dei medici obiettori, pari al 70%, il 17,3% in più di 30 anni fa». Il problema prosegue, «non è solo il numero, quanto la loro distribuzione». A livello regionale si toccano punte dell'88,4% in Campania, 87,9% in Molise, 85,2% in Basilicata, «rendendo, in alcune strutture, difficile abortire».
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