Il lato umano dei nuovi santi: quando Wojtyla furioso sequestrò la macchina a un sacerdote

Papa Wojtyla arrabbiato
di Franca Giansoldati
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Mercoledì 23 Aprile 2014, 12:39 - Ultimo aggiornamento: 12:40
Santi nonostante i difetti. Uomini come altri, dunque, anche per quanto riguarda le mancanze. Magari di poco conto, ma pur sempre insufficienze di temperamento o caratteriali. Giovanni Paolo II, per esempio, perdeva spesso le staffe, si arrabbiava, e gli capitava di agire di impulso magari infliggendo punizioni severe di cui magari si pentiva. Una volta, per esempio, quando era ancora cardinale a Cracovia, davanti ad un sacerdote un po’ ribelle scelse di adottare la linea dura e gli disse: «Adesso mi consegni le chiavi della tua macchina e te ne torni in parrocchia a piedi».



Anche se la parrocchia distava dall’arcivescovado parecchi chilometri. Persino Giovanni XXIII, il Papa buono, non era perfetto, visto che si lasciava andare ai piaceri della tavola. Era una buona forchetta. Questi particolari inediti e curiosi della vita dei futuri santi vengono rivelati dai due postulatori delle Cause di canonizzazione: padre Giovangiuseppe Califano dei Frati Minori, per Papa Roncalli, e monsignor Oder Slawomir per Wojtyla.



Perché sono santi? «E’ una strada fatta di tappe. La santità di Roncalli era un proposito da lui coltivato in ogni stagione della vita, da sacerdote, da vescovo e da Papa, e sempre rinnovato attraverso quattro risoluzioni» ha spiegato padre Califano.



«Già da giovane seminarista, a 15 anni, scriveva: ‘Io rinnovo il proponimento di volermi fare santo davvero, e lo farò attraverso quattro risoluzioni che propongo di praticare: spirito di unione con Gesù, raccoglimento nel suo cuore, recita del Rosario, essere sempre in tutte le mie azioni presente a me stesso”».



Una santità caratterizzata da profonda umiltà e dall’abbandono alla provvidenza. Nel suo diario annotava: “Dio è tutto, io sono nulla: questo mi basta”. Senza contare che fu lui ad aprire la Chiesa a nuovi orizzonti con il Concilio Vaticano II. Papa Buono, dunque, non tanto perché «era un generico buonismo di facile applicazione, ma perché era sinonimo di amore, di genio pastorale, di comprensione, di perdono, di conforto. In pratica, come appare Gesù nel Vangelo».



Su Giovanni Paolo II, invece, monsignor Oder cita i compagni universitari che scrissero sulla stanza di Karol: “Futuro Santo”, colpiti dalla sua attitudine alla preghiera e alla riflessione sul valore della vita, legate probabilmente a un’infanzia di sofferenza per la perdita, in poco tempo, di tutta la famiglia: «Forse, proprio questo suo impegno di dare il peso qualitativo alla vita con un impegno di carità era il fatto che la gente percepiva come i tratti di santità nella sua vita». Infine la preghiera «per lui era il respiro, l’acqua, il pane quotidiano».



Compito del Papa, come compito della Chiesa – ripeteva Giovanni Paolo II – è evangelizzare e portare tutti alla santità.
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