Militari italiani in missione imbarcati su aerei di linea

Militari italiani in missione imbarcati su aerei di linea
di Mirko Polisano
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Lunedì 27 Ottobre 2014, 00:39 - Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 08:04
ROMA - Partire per la guerra da passeggeri qualsiasi.

Accade ai militari italiani che vanno in Libano come in Afghanistan. Il trasporto del personale impiegato nelle ormai famose "missioni di pace" è affidato alle comuni compagnie di linea con tanto di check in prima dell'imbarco. I bagagli a mano devono rientrare nelle misure standard e per verificarne peso e dimensioni si utilizza lo stesso sistema dei voli low-cost. E anche gli imprevisti e i disagi sono i medesimi. Il caso Meridiana e il caos bagagli all'aeroporto di Fiumicino non hanno risparmiato, nei giorni scorsi, nemmeno i soldati tornati dall' Afghanistan ansiosi di riabbracciare i propri cari.



L’ULTIMO EPISODIO

I militari sbarcati all'alba dell'altra mattina al Leonardo da Vinci da Herat hanno aspettato un'ora esatta prima di poter recuperare sacchi e bauli per i loro quindici giorni di licenza in Italia. Le valigie erano partite, insieme a parte del contingente, dall'aeroporto di Camp Arena, poi sono state spostate su un volo civile della compagnia sarda che le ha portate a Fiumicino, dopo gli scali tecnici prima ad Abu Dhabi e poi a Sharm el Sheikh. Negli Emirates, il primo disservizio: l'aria condizionata del boeing è andata in tilt, circostanza che ha costretto i militari a una attesa forzata sulla pista di Al Bateen prima di salire a bordo. Solo a metà del tragitto la situazione climatica si è poi sistemata. Imprevisti di un qualsiasi altro viaggio, dovuti ad appalti e a esternalizzazione dei servizi, se non fosse che in questo caso non si tratta del rientro da una vacanza. Ma da una missione di pace. L'appalto di Meridiana con il ministero della Difesa terminerà il prossimo 31 dicembre. Una data, questa, che coincide con un'altra scadenza, quella della missione Isaf in Afghanistan.



IL MANCATO RISPARMIO

Fino alla fine dell'anno i militari continueranno dunque a volare su jet di linea con tanto di assistenti che mostrano come allacciare le cinture e pronte a portare un abbondante pranzo in vaschetta. Di voli come questi ce ne sono diversi nel giro di un mese: considerando le licenze, i permessi per tornare in patria e i cambi di contingente. Media che si alza durante i periodi delle festività: tra dicembre e gennaio, si torna a casa per Natale. Per il trasporto aereo delle truppe, la cifra si aggira intono ai 14 milioni di euro l'anno, soldi che potrebbero essere risparmiati se si usasse esclusivamente la flotta area militare italiana. Secondo alcuni tecnici della Difesa, però, in questo caso si accorcerebbe la vita operativa dei velivoli, sarebbero maggiori i costi di manutenzione, e sempre di meno le disponibilità in caso di emergenze. Allora, meglio esternalizzare e rischiare il caos bagagli. Come accaduto per gli ultimi atterrati a Roma. Prima di riabbracciare i propri cari, i soldati hanno dovuto attendere un'ora per poter recuperare i loro bagagli. Il nastro ha sputato borse mimetiche e zaini tattici a singhiozzo.



LA TESTIMONIANZA

Incerte le cause: dall'orario dell'atterraggio, avvenuto prima del sorgere del sole, ai continui disagi arrecati dalle varie società che gestiscono il traffico bagagli. Di certo, a Fiumicino, a rimetterci in minuti preziosi è stato chi rientrava dalla missione e non vedeva l'ora di stringersi all'affetto di moglie, figli e genitori. «Ho avuto modo di sperimentare sulla mia pelle - racconta Annarita Lo Mastro, madre del caporal maggiore David Tobini caduto in Afghanistan nel 2011 - anche l'odissea di quel viaggio. Lo scorso anno, sono partita per Herat per vivere quelle tappe e percorrere lo stesso percorso che ha fatto mio figlio e che fanno tanti altri soldati. Ore di stanchezza e scomodità. E mai nessuno che si lamenta».
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