Nel corso dell’incontro, del quale il titolare del dicastero ha detto più volte di non conoscere i dettagli, i kazaki caldeggiano la cattura di Mukhtar Ablyazov e l’operazione, già sollecitata anche in questura, avviene quella notte stessa. Non trovando il presunto terrorista, la Polizia ferma comunque la moglie, Alma. La donna presenta un passaporto, secondo la procura falso, in cui risulta chiamarsi Alma Ayan e viene portata immediatamente al Cie di Ponte Galeria, visto che con quel nome non risultano né permessi di soggiorno né protezioni diplomatiche.
IL FUNZIONARIO AL CIE
E’ qui che avviene la seconda stranezza. Perché un consigliere dell’ambasciata kazaka si presenta all’udienza di convalida del provvedimento di espulsione già emesso dalla Prefettura di Roma, spiegando che la donna è cittadina della repubblica centrasiatica e si chiama appunto Shalabayeva. Eppure, nessuno dei funzionari della questura presenti all’udienza fa notare la cosa alla giudice di pace Stefania Lavore (che al momento risulta indagata a Perugia) né le spiega che stando ai documenti presentati dal funzionario, Alma Shalabayeva ha due documenti validi. E’ su quanto avviene in quelle ore che si basano sia le accuse di falso ideologico, perché alla prefettura viene chiesto di emettere un decreto di espulsione per Alma Ayan, e di abuso d’ufficio per quel che avviene nel corso dell’udienza. Ma anche la velocità del procedimento di espulsione coatta fu singolare. Lo dice a verbale Sonia Boccia, capo del dipartimento dedicato della Prefettura: «Su trenta espulsioni quotidiane, una percentuale minima prevede l’accompagnamento forzoso alla frontiera».
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