Shalabayeva, dal passaporto falso all'espulsione: tutte le stranezze del caso

Shalabayeva, dal passaporto falso all'espulsione: tutte le stranezze del caso
di Sara Menafra
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Mercoledì 29 Aprile 2015, 23:03 - Ultimo aggiornamento: 1 Maggio, 20:07
Ci sono molti fatti singolari nella vicenda di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov rimpatriata illegittimamente in seguito ad un blitz a caccia del marito avvenuto su indicazione dei massimi vertici del Viminale. Le tremila pagine di atti raccolti dal pm Eugenio Albamonte a carico di cinque poliziotti, tra i quali l’ex capo dell’ufficio immigrazione Maurizio Improta, che ora rischiano di essere rinviati a giudizio con l’accusa, a vario titolo, di abuso d’ufficio e falso ideologico (Pierluigi Borgioni, Corrado Sportoloni, Stefano Leoni e Vincenzo Tramma) li ripercorrono uno alla volta. Il primo sta nel fatto che la sera del 28 maggio del 2013 fu il ministro degli Interni in persona a premurarsi che il suo capo di gabinetto incontrasse quella sera stessa l’ambasciatore kazako e ad avvertire quest’ultimo: «Il 28 maggio intorno alle 21.00 - ha messo a verbale l’ex prefetto Giuseppe Procaccini - mi trovavo alla Presidenza del consiglio per conferire con il ministro Alfano. Il ministro mi disse che l’ambasciatore del Kazakistan gli aveva chiesto un incontro e mi pregava di riceverlo al posto suo. Non so per quale tramite il ministro abbia fatto giungere l’informazione all’ambasciatore che si presentò al mio ufficio poco prima delle 22.00».

Nel corso dell’incontro, del quale il titolare del dicastero ha detto più volte di non conoscere i dettagli, i kazaki caldeggiano la cattura di Mukhtar Ablyazov e l’operazione, già sollecitata anche in questura, avviene quella notte stessa. Non trovando il presunto terrorista, la Polizia ferma comunque la moglie, Alma. La donna presenta un passaporto, secondo la procura falso, in cui risulta chiamarsi Alma Ayan e viene portata immediatamente al Cie di Ponte Galeria, visto che con quel nome non risultano né permessi di soggiorno né protezioni diplomatiche.



IL FUNZIONARIO AL CIE

E’ qui che avviene la seconda stranezza. Perché un consigliere dell’ambasciata kazaka si presenta all’udienza di convalida del provvedimento di espulsione già emesso dalla Prefettura di Roma, spiegando che la donna è cittadina della repubblica centrasiatica e si chiama appunto Shalabayeva. Eppure, nessuno dei funzionari della questura presenti all’udienza fa notare la cosa alla giudice di pace Stefania Lavore (che al momento risulta indagata a Perugia) né le spiega che stando ai documenti presentati dal funzionario, Alma Shalabayeva ha due documenti validi. E’ su quanto avviene in quelle ore che si basano sia le accuse di falso ideologico, perché alla prefettura viene chiesto di emettere un decreto di espulsione per Alma Ayan, e di abuso d’ufficio per quel che avviene nel corso dell’udienza. Ma anche la velocità del procedimento di espulsione coatta fu singolare. Lo dice a verbale Sonia Boccia, capo del dipartimento dedicato della Prefettura: «Su trenta espulsioni quotidiane, una percentuale minima prevede l’accompagnamento forzoso alla frontiera».

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