A chiedere la testa dei manager era stato il sindaco Marino quando, lo scorso 25 luglio, annunciando l’azzeramento del cda, aveva dato mandato al "diggì" Micheli di «mandar via anche i dirigenti responsabili dei disagi in metropolitana» che si erano registrati durante lo sciopero bianco dei macchinisti.
Micheli una lista - circa 10 nomi - l’aveva buttata giù. Inserendo nell’elenco una serie di manager dell’Area amministrativa e della Produzione ritenuti non più funzionali alla nuova mission di Atac.
Per completare la procedura però servono i soldi per i trattamenti di fine rapporto. Soldi che Atac - che solo nel 2014 ha accumulato un passivo da 140 milioni - non ha. La marcia indietro del Campidoglio nasce da qui.
I COSTI
Il licenziamento di 10 manager costerebbe infatti all’azienda di via Prenestina fino a 2 milioni di euro, secondo le stime dell’assessorato ai Trasporti, che ha preventivato almeno 200mila euro di spesa per ciascun dirigente da allontanare. «Ma nella situazione in cui versa l’Atac oggi, non possiamo permetterci di spendere i soldi dei contribuenti romani per dare la buonuscita ai manager», spiega l’assessore Esposito.
La strategia del Campidoglio resta quindi schiacciata tra due estremi. Da una parte c’è la convinzione che per rilanciare i servizi di Tpl «questa azienda vada rivoluzionata», a partire «dai dirigenti di prima fascia», e dall’altra c’è la consapevolezza di una situazione finanziaria estremamente complicata. «Il mio desiderio è quello di un ricambio profondo - ragiona Esposito - Ma questa operazione di bonifica richiederebbe una spesa che al momento non possiamo permetterci».
I CONTI
Difficile dargli torto. Nei primi sei mesi di quest’anno i conti della municipalizzata già segnano meno 60 milioni. Senza la ricapitalizzazione da 200 milioni avviata dal Comune, già un mese fa Atac avrebbe dovuto portare i libri in tribunale per il fallimento.
Per l’operazione rilancio, il Campidoglio ha deciso di puntare tutto sul super-manager Micheli, un passato ai vertici di grandi gruppi italiani e internazionali, da Gucci a Poste Italiane. Sarà lui a guidare la fase di riorganizzazione dell’azienda, che entro il 2019 dovrà trovare un partner industriale per provare a competere, con tariffe oggi fuori mercato, in una gara pubblica che non farà sconti.
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