Renato Cortese: «Roma può reagire ai soprusi dei clan»

Renato Cortese: «Roma può reagire ai soprusi dei clan»
di Luca Lippera
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Venerdì 27 Marzo 2015, 23:19 - Ultimo aggiornamento: 29 Marzo, 19:44

«Anche per chi la vede in controluce Roma resta una città bellissima». Dopo tre anni nella stanza dei bottoni della Squadra Mobile, Renato Cortese, 48 anni, l’uomo che arrestò il boss dei boss Bernardo Provenzano e che ha smantellato il clan Fasciani a Ostia, va a dirigere il Servizio centrale operativo - il massimo per un investigatore della Polizia - e non porterà con sé né l’immagine né la sensazione di una capitale mesa alle corde dalla criminalità.

«Ma sicuramente Roma è una realtà molto complessa - dice Cortese, origini in Calabria, il poliziotto che ha guidato la Mobile alla soluzione del delitto Femia (’ndrangheta) e dell’omicidio Fanella, legato invece a Mafia Capitale - La città sta affrontando un periodo non bello, perché c’è da fronteggiare la presenza sempre più massiccia di famiglie legate ai clan calabresi e alla camorra napoletana. Ma gli anticorpi della Capitale sono notevoli: è enorme, non subisce come altri luoghi e reagisce, anche culturalmente, al sopruso».

Ma in controluce, dietro l’immagine da “cartolina”, non sembra affatto il massimo.

«Beh.

Bisognerebbe pensare a come sono Reggio Calabria o Palermo. Questo non significa che i problemi non esistano. C’è una diffusione massiccia della corruzione ed è per questo che nella Squadra Mobile è stata creata una sezione speciale che si occupa dei reati contro la pubblica amministrazione».

Le succederà il capo della Mobile di Torino che fu suo vice a Reggio Calabria. Un suggerimento per il lavoro?

«Non ne ha bisogno. Saprà affrontare le situazioni. Conosco il suo valore».

A Ostia avete assestato colpi durissimi al clan Fasciani. Tutto risolto?

«Assolutamente no. L’operazione Alba Nuova del 2013, incentrata sulla famiglia Fasciani, oltre cinquanta arresti, è stata solo un punto di partenza».

Ci sono organizzazioni che stanno tentando di riempire il “vuoto” creato dagli arresti?

«Ostia è un territorio particolare. Per decenni è stato in una morsa. Il clan Fasciani attuava un controllo sistematico e ferreo del territorio. Una singola operazione, benché a largo raggio, non può smantellare una intera rete. Le attività investigative proseguono».

C’è chi dice che a Ostia servirebbe l’impiego di militari.

«Non faccio commenti su questioni che implicano scelte di carattere politico».

L’inchiesta Mafia capitale?

«Non l’abbiamo seguita noi direttamente e non voglio dare giudizi. Non si trattava di siciliani, calabresi o napoletani. Ma la metodologia era quella».

«Oltre al capo del clan Fasciani avete arrestato anche il boss Senese. Vista la dinamica di alcune leggi, viene spontaneo chiedersi se tutti e due siano ancora dentro o se siano già fuori.

«Stanno fisicamente ancora in carcere tutti e due. Per Fasciani è anche arrivata la prima condanna in base all’articolo 416 bis del Codice Penale: associazione di stampo mafioso. Fasciani è il primo boss romano che viene sottoposto, lo è tuttora, al regime di carcere duro, il cosiddetto 41 bis».

Alcuni evitavano la prigione, anche a Roma, grazie a certificati di “comodo”.

«C’è un’operazione alla quale la Mobile ha prestato molte attenzione: l’arresto dell’avvocato Cavaliere e di alcuni periti del Tribunale che fornivano ai boss, Senese incluso, la falsa documentazione per farsi mettere agli arresti in case di cura anziché in cella».

Ndrangheta e Camorra: problemi non da da poco.

«E non lo sono affatto. Roma scatena appetiti e quella dei clan di origine calabrese o campana è una presenza insidiosa. Ovviamente le famiglie non mirano, come accade altrove, al controllo spicciolo del territorio, bensì alla penetrazione nelle attività economiche e commerciali, dove la possibile redditività è enorme. È un aspetto poco visibile al cittadino medio ma non meno allarmante. Però capisco che non bisogna dimenticare il resto: lo spaccio, la micro-criminalità, la sensazione di pericolo. La gente vuole essere tranquilla, chiede sicurezza sotto casa, e quindi saremo sempre costretti a lavorare su due fronti. Davanti e dietro le quinte, dove le cose non sono meno decisive: non possiamo permetterci la ramificazione di organizzazioni criminali di stampo mafioso nella capitale del Paese».

Un rimpianto?

«Ma no: rimpianti no. Andandomene voglio ringraziare gli uomini e le donne della Squadra Mobile di Roma. Sono persone valorose».

Il rimpianto...

«Beh, cose aperte ce ne sono tante. Ma non posso annunciarle a un giornale. Le saprete quando le attività saranno concluse. Statene certi».