Raiway, quel no di Palazzo Chigi e i punti chiave dell'offerta

Raiway, quel no di Palazzo Chigi e i punti chiave dell'offerta
di Osvaldo De Paolini
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Giovedì 26 Febbraio 2015, 23:50 - Ultimo aggiornamento: 27 Febbraio, 00:10
Dalle parti di Cologno, alle porte di Milano dove ha sede il quartier generale di Mediaset, nemmeno l’hanno preso in considerazione il primo no del governo, peraltro scontato. E, com’era prevedibile, hanno deciso di tirare dritto: muoveranno avvocati e ragioni di mercato, probabilmente coinvolgendo le grandi istituzioni internazionali azioniste di Ray Way in una battaglia che, a loro dire, è solo all’inizio.

Ora, che si tratti di un’operazione di mercato non v’è dubbio e che abbia anche un forte valenza industriale è provato, oltre che dai numerosi report indipendenti, anche da una valutazione di buon senso sulle sinergie e le efficienze a favore dei consumatori che si otterrebbero dalla fusione tra Ei Towers e Rai Way.



IL PREZZO

Vero è che la proposta finanziaria non rappresenta il meglio assoluto: sebbene di un’architettura tra le più moderne, ha il difetto di non offrire il prezzo massimo - di recente le torri Wind sono state cedute al gruppo Abertis a un multiplo di 15, a fronte del multiplo di 11 contenuto nell’offerta Mediaset - e di replicare un modello di privatizzazione che si pensava accantonato dopo i regali di Stato che segnarono gli Anni Novanta. Ricordate i casi Telecom Italia o, meglio ancora, il caso Autostrade?



Ebbene, l’idea che il prezzo proposto venga pagato dalla società target nella quale confluirà gran parte del debito necessario al perfezionamento dell’operazione - pratica diffusa nel mondo dei fondi più aggressivi, tanto da rappresentare una delle cause scatenanti della grande bolla finanziaria dello scorso decennio - non può che suscitare qualche perplessità. Ma al netto di questi due argomenti, peraltro passibili di attenuazione in una eventuale rimodulazione dell’offerta, a Cologno si pensa che non sarà facile per il governo mantenere la linea del niet senza innescare le inevitabili polemiche sul caso politico che nasce da una proposta targata Berlusconi.



LA TATTICA POLITICA

Di là di come l’ex premier giocherà questo diniego - ed è intuibile l’uso politico che il leader di Forza Italia ne farà - resta il fatto che si tratta di una posizione dissonante rispetto allo spirito del decreto sulle banche popolari, concepito affinché un ampio settore della finanza nazionale si adegui finalmente alle regole di mercato. Quelle stesse regole cui Ray Way e la Rai, che a novembre scorso l’ha portata in Borsa, hanno dimostrato di voler abbracciare, quindi aprendosi alle opportunità di vario segno che il mercato può offrire. Nè la tesi sostenuta dal premier Renzi che l’offerta di Mediaset è irricevibile poiché il Dpcm che disciplina lo sbarco in Borsa di Ray Way stabilisce che il 51% resti alla Rai, basta a risolvere il problema.



NESSUNA LEGGE

Anzitutto perché, dicono in Mediaset, un decreto della presidenza del Consiglio non è una legge, ma una disposizione che vale fino a che il premier non cambia idea. Quindi, dire no in virtù del Dpcm è una scelta politica e non un obbligo di legge. In secondo luogo perché, se è vero che il cda di Ray Way può definire «non congrua» l’offerta poiché correttamente insegue i valori massimi di mercato (e il paragone con le torri Wind viene facile), resta il fatto che rifiutare il 22% in più dell’ultimo prezzo di Borsa prima dell’opa e il 53% in più del prezzo di collocamento potrebbe innescare - qualora quest’anno la Borsa non fosse generosa nei confronti del titolo Rai Way - tentazioni di rivalsa da parte dei soci minori contro la società che non ha saputo cogliere la ghiotta opportunità. Così come la Rai, anch’essa chiamata ad esprimersi sull’offerta quale azionista di maggioranza, per le stesse ragioni potrebbe essere accusata persino di danno erariale.



Nessun dubbio che Mediaset, qualora decidesse di andare fino in fondo, approfitterebbe della circostanza per mettere in campo i migliori legali esperti della materia pur di raggiungere lo scopo creando così difficoltà aggiuntive alla Rai stessa: un obiettivo, questo, che potrebbe non essere secondario.



GLI INVESTITORI ISTITUZIONALI

C’è poi l’aspetto degli investitori istituzionali che fin qui non è stato affrontato. Azionisti di Rai Way come i fondi americani di BlackRock (cui fa capo il 5% del capitale della controllata Rai) difficilmente avrebbero acquistato una sola azione se nel prospetto del collocamento fosse stato scritto in chiaro che mai la società sarebbe diventata privata. Al contrario, quei fondi hanno investito su Rai Way proprio in previsione del risiko delle torri-antenne e probabilmente anche dopo un’attenta lettura del Dpcm che, a proposito del mantenimento pubblico del controllo di Rai Way, è alquanto approssimativo. Ebbene, chi spiegherà a quei signori, che tra l’altro proprio ieri hanno annunciato voler investire in altre società italiane ufficialmente quotate, che hanno letto il prospetto Rai Way in un modo non appropriato?



L’ESCALATION

La scesa in campo di Mediaset è una mossa ad alta intensità industriale e politica, che sarebbe miope non inquadrare nella escalation di operazioni finanziarie che in meno di tre settimane hanno riportato il Biscione ai vertici della classifica nazionale delle aziende più dinamiche. Così come sarebbe miope sottovalutare la carica dirompente di un’operazione di mercato cui non basterà dire un semplice no di taglio politico.