Petrolio, stop alle ricerche nei mari italiani: l'air gun sta per diventare reato

Petrolio, stop alle ricerche nei mari italiani: l'air gun sta per diventare reato
di Andrea Bassi
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Venerdì 6 Marzo 2015, 23:33 - Ultimo aggiornamento: 9 Marzo, 22:18

Un passo avanti, due indietro. Come in un infinito gioco dell’oca. A rimandare alla casella di partenza la strategia energetica del governo che prevede entro il 2020 l’estrazione in Italia di 24 milioni di barili equivalenti l’anno di idrocarburi, è un comma di sole quattro righe. Un emendamento presentato da senatori di Gal e di Forza Italia al disegno di legge sui reati ambientali e approvato in Senato contro il parere del governo. La norma prevede la pena della reclusione da uno a tre anni per chiunque usi la tecnica dell’«air gun» per le attività di ricerca e di ispezione dei fondali marini finalizzate alla coltivazione di idrocarburi. L’air gun è una tecnologia attraverso la quale viene sparata aria compressa dalle navi sui fondali, per poi rilevare con dei microfoni gli echi che permettono la prospezione del sottofondo marino. Non la usano solo le compagnie petrolifere, è utilizzata anche da tutti i centri di ricerca, da quelli oceanografici sino al Cnr. Comunque è il metodo meno invasivo e più diffuso per effettuare le ricerche off shore. «Per le imprese che fanno ricerca è un duro colpo», spiega Piero Cavanna, presidente del settore idrocarburi di Assomineraria. «L’emendamento», prosegue Cavanna, «ha un impatto pesante sulle attività di ricerca, si tratta di una tecnologia ad aria compressa, senza uso di esplosivi, si usa in tutto il mondo, non ha senso vietarla».

LE MOSSE DEGLI ALTRI PAESI
L’emendamento di Ncd renderebbe in pratica vane le norme inserite nel decreto Sblocca-Italia il cui scopo era riavviare la ricerca e la produzione di idrocarburi nella penisola, compresa quella off shore. Lo Sblocca Italia eliminava il diritto di veto delle Regioni, motivo per il quale ben sette di loro lo hanno impugnato davanti alla Corte Costituzionale. Matteo Renzi, tuttavia, aveva deciso di accelerare, non solo per sfruttare i giacimenti della Basilicata, ma anche perché mentre l’Italia rimane immobile, altre nazioni come la Croazia, hanno assegnato concessioni di estrazione in tutto l’Adriatico.

In questo modo, in pratica, l’Italia avrebbe solo gli eventuali rischi delle piattaforme senza nessun beneficio. «Mentre noi ci blocchiamo», dice ancora Cavanna, «nell’Adriatico e nel Mediterrano Croazia, Cipro, Libano, Grecia, Israele, stanno continuando ad esplorare. Gli israeliani negli ultimi tre o quattro anni hanno effettuato scoperte per miliardi di metri cubi». Con lo Sblocca Italia, secondo le stime del governo, si avvierebbero investimenti per 15 miliardi di euro, 25 mila nuovi posti di lavoro e un risparmio sulla fattura energetica nazionale di 5 miliardi all’anno.

«Adesso, invece», spiega Gianni Bessi, consigliere regionale dell’Emilia Romagna, regione che ospita il distretto italiano più importante dell’off shore, quello di Ravenna, «verranno penalizzate soprattutto le piccole e medie imprese dell’off shore italiano, perché le grandi imprese cercheranno di acquisire i progetti in territorio croato, assisteremo alla moria di decine di subcontrattisti italiani». Il governo ora potrebbe correre ai ripari modificando il testo alla Camera. Ma è già in terza lettura, significherebbe un ulteriore passaggio al Senato.
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