I VINCOLI
Il capitolo previdenza viene analizzato in contemporanea con gli altri, anche perché a suggerire cautela (oltre alla posizione dell’Unione europea contraria ai prepensionamenti, come ribadito in una relazione presentata ieri alla riunione dei ministri del Lavoro) c’è naturalmente il vincolo di bilancio. Così se Susanna Camusso, numero uno della Cgil, ha fatto sapere che la manovra sarà giudicata soprattutto sugli aggiustamenti alla legge Fornero, l’impressione è che questi ci saranno ma risulteranno alla fine piuttosto contenuti.
Non si esclude però che un principio di flessibilità più generale possa essere rinviato ad una fase successiva. Lo schema del prestito previdenziale (ma sarà probabilmente chiamato in modo diverso) suppone non tanto una scelta del lavoratore di accedere alla pensione anticipatamente, quanto la volontà dell’azienda di attuare un ricambio o comunque di ridurre il personale. Ci sarebbe quindi un accordo, più o meno appetibile per il dipendente a seconda delle sue effettive prospettive occupazionali. L’interessato percepirebbe una sorta di assegno anticipato, limitato a ad un importo di circa 800 euro al mese. Il costo sarebbe in larga parte a carico dell’impresa, che dovrebbe anche continuare a pagare i contributi necessari per i 2-3 anni mancati alla piena maturazione del requisito. Poi una volta scattato il trattamento previdenziale vero e proprio al pensionato toccherebbe restituire l’anticipo percepito. In una simulazione dell’agenzia
IL PARACADUTE
Accanto a questa novità si valuta un ulteriore intervento sugli esodati, che però potrebbe anche non prendere la forma di una nuova salvaguardia (sarebbe la settima) e limitarsi invece ad alcuni correttivi ai “paracadute” già in vigore. Per quanto riguarda le lavoratrici, sul tavolo c’è il prolungamento dell’opzione donna che nella sua forma attuale (in realtà bloccata al 2014) prevede la possibilità di lasciare il lavoro anche a 57 anni con la pensione calcolata con il sistema contributivo, ovvero una decurtazione fino al 30 per cento. La possibilità di una penalizzazione più lieve, pari a circa il 3,5 per cento l’anno, deve fare i conti con i relativi costi a carico del bilancio dello Stato.
Sul fronte dei risparmi di spesa, le tre grandi voci a cui il governo guarda sono la sanità, le altre uscite degli enti territoriali (Regioni e Comuni) e i bilanci dei ministeri. La prima è forse quella politicamente più controversa. Dopo i tagli già applicati a seguito della scorsa legge di Stabilità - in vigore da quest’anno - nel 2016 il Fondo sanitario nazionale dovrebbe subire una nuova riduzione di almeno 2 miliardi, passando dai poco più di 113 previsti ai 111 di cui ha parlato lo stesso Matteo Renzi. Si lavora però affinché l’operazione non passi attraverso interventi sostanzialmente lineari, uguali per tutti, ma sfrutti invece il meccanismo dei costi standard. Se ne è parlato ieri in alcune riunioni che si sono svolte a Palazzo Chigi, con la partecipazione della titolare della Sanità Beatrice Lorenzin, del presidente del Piemonte (e della conferenza delle Regioni) Chiamparino e di quello della Lombardia Maroni.