Paolo Virzì: «Senza le donne è buio al cinema, le quote rosa possono servire»

Paolo Virzì: «Senza le donne è buio al cinema, le quote rosa possono servire»
di Gloria Satta
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Giovedì 1 Ottobre 2015, 23:52 - Ultimo aggiornamento: 2 Ottobre, 17:52
Ma esiste un cinema ”al femminile”? Il regista Paolo Virzì non ha dubbi: «Credo sia soltanto uno slogan. Efficace quanto si vuole, ma privo di riscontro nella realtà», spiega. «Da appassionato lettore di romanzi e spettatore di film che hanno delle donne protagoniste, non mi sento di cadere nella trappola delle definizioni: riconoscere l’esistenza di un cinema ”delle donne” significherebbe accettare un ghetto, rinchiudere le registe in un’apartheid culturale».

Sul dibattito che appassiona il cinema, in particolare quello italiano in cui si stanno moltiplicando le storie e i personaggi femminili, interviene Virzì. Maestro al di sopra di ogni sospetto: nei suoi film, le donne hanno spesso fatto la parte del leone, da La bella vita, incentrato sulla cassiera Sabrina Ferilli, a Tutta la vita davanti che racconta l’epopea della precaria Isabella Ragonese, da Caterina va in città con Margherita Buy campagnola a La prima cosa bella illuminato da Micaela Ramazzotti mamma chiacchieratissima.



Ora il regista ha addirittura raddoppiato: La pazza gioia, la sua ultima commedia attesa nelle sale all’inizio del 2016, punta tutto su una coppia di mattatrici, Micaela Ramazzotti e Valeria Bruni Tedeschi nei panni di due ”svitate” evase dal manicomio.



Perché le piacciono tanto i personaggi femminili?

«Li trovo più interessanti, eccitanti, divertenti. Amo rappresentare le donne non tanto quando sono virtuose, preferisco il loro lato sconveniente. Anche nella vita, sono convinto che siano migliori degli uomini. Perfino quando sono tremende...».



Ammetterà che la commedia italiana vanta una fiera tradizione maschilista.

«E’ vero, anche se le eccezioni sono film come Speriamo che sia femmina, Io la conoscevo bene, La visita con Sandra Milo, C’eravamo tanto amati in cui svetta una grande Sandrelli».



Per raggiungere la parità di genere anche al cinema, qualcuno propone le quote rosa. Che ne pensa?

«A volte sono un male necessario, una soluzione forzata per raddrizzare un’ingiustizia. A maggior ragione in Italia, che è molto più indietro rispetto agli altri Paesi occidentali: per esempio, non abbiamo mai avuto un premier donna né una presidente della Repubblica. E il cinema riflette la società».



Cosa risponde alle attrici che si lamentano per la scarsità di bei ruoli femminili?

«Alle rivendicazioni, che ci sono sempre state, Monicelli rispondeva provocatoriamente ”ma le donne non hanno un’anima”. Ma poi girava un film all’avanguardia come Speriamo che sia femmina! Scherzi a parte, l’industria cinematografica è maschilista, mentre il pubblico non lo è: basterebbe tener conto di questo dato, rilevante dal punto di vista commerciale, per raddrizzare lo squilibrio».



Come giudica la battaglia delle star hollywoodiane per la parità salariale?

«E’ sacrosanta perché è una lotta sindacale, cioè viene portata avanti per tutelare i diritti dei lavoratori. La discriminazione in questo campo è inaccettabile».



Anche se il suo cinema è pieno di donne, trova giusta la campagna per ”femminilizzare” il cinema?



«Direi di sì. L’espressione artistica per fortuna sfugge a qualunque imposizione e, ripeto, sono contrario alla codificazione. Non esiste un’ispirazione ”al femminile”: le più toccanti eroine della letteratura, Bovary e Karenina, sono state create dagli uomini. Ma forse si possono sensibilizzare i registi, invogliarli a raccontare un po’ di più le donne. Sorrentino, Garrone, ci sentite? Se non volete cortei sotto casa, ponetevi almeno il problema...».



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