Opera, tra note e lacrime di coccodrillo: «Era meglio firmare l’accordo»

Opera, tra note e lacrime di coccodrillo: «Era meglio firmare l’accordo»
di Mario Ajello
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Sabato 4 Ottobre 2014, 00:38 - Ultimo aggiornamento: 00:59
E’ il momento del pentimento. La fase delle lacrime di coccodrillo.



La «Cenerentola» di Prokof’ev sta per cominciare, al Teatro dell’Opera, e gli orchestrali prendono il loro posto senza ancora la lettera di licenziamento nelle tasche ma nel volto hanno i colori del crepuscolo e il pallore della rassegnazione di chi ha tirato troppo la corda - o meglio non s’è opposto al pansindacalismo che ha inciuciato con le vecchie gestioni del teatro portandolo al collasso - e poi la corda s’è spezzata. «Forse, potevamo pensarci prima e accettare il piano Fuortes», dice perfino uno della Cgil, il sindacato più barricadiero, e lui - Fabio Morbidelli - è una ”prima parte”, numero uno del controfagotto «con obbligo di fagotto» (secondo contratto).



A due passi da lui, giù nella sala dell’orchestra, spazio angusto con aria irrespirabile e tante divisioni tra i musicisti riuniti in assemblea, vanno in scena lo spettacolo della batosta; le speranze dei giovani suonatori («Che dobbiamo fare? I sindacati ci hanno fatto sbattere contro un muro e ora ci metteremo sul mercato») contro la rabbia dei più anziani (il primo trombone e rappresentante Cisl, Marco Piazzai, ha appena detto sotto il colonnato all’ingresso mentre piove: «Vogliono fare dell’Opera un discount»); la voglia di rimettersi in gioco di chi si sente forte del proprio talento («Ho fatto il concorso con Muti e l’ho vinto. Quella di fare una cooperativa esterna è un’opportunità.



Imbocchiamola e buonanotte ai suonatori», azzarda fuori dalla porta uno dei più giovani); e le tante voci di queste esistenze in subbuglio a causa della situazione che s’è creata e non poteva non crearsi.



E comunque, mentre gli anziani suonano il de profundis dei loro privilegi da Cobas del violino (chi più gli ridarà l’indennità frac, l’indennità umidità per gli spettacoli all’aperto, l’indennità video per le riprese tivvù, l’indennità usura dello strumento, l’indennità lingua che scatta per i cantanti quando intonano Wagner in tedesco e l’Oneghin in russo?), gli orchestrali più freschi di concorso ragionano come un addetto ai fiati che, come tutti, vuole restare anonimo: «Verremo tutti riassunti e non saremo disoccupati. Proviamo questa nuova vita, il posto fisso non ce l’ha più nessuno». Chi dice: «Me ne vado in Cina». Chi insiste: «Fuori dal lavoro assistito non c’è mica il demonio?».



PRECARI

E ci sono quelli, i precari, i senza diritti e senza indennità, che adesso si giocano nella libera concorrenza la possibilità di essere come gli altri. Come ha già fatto per esempio Enrica Ruggiero, la pianista non stabilizzata che, salendo da sola sul palco mentre l’orchestra scioperava, ha salvato la Bohème a Caracalla pochi mesi fa. Non ci sono solo i Cobas del violino. C’è anche chi, come Enrica, è stata all’estero, nel suo caso a Vienna, per lavoro ed è già abituata a mettersi in gioco.



E c’è il veterosindacalismo alla Pasquale Faillaci, il cigiellino che ha sposato la sorella dell’ex soprintendente Catello De Martino, a sua volta responsabile di molti dei disastri di qui, ma anche una come Denise Lupi, della sigla Libersind Confsal, che spiega: «Noi abbiamo firmato il piano Fuortes. Garantiva gli attuali livelli occupazionali e stipendi integri fino al 31 dicembre, per darci il tempo di fare un altro contratto integrativo».



Che certamente non avrebbe potuto contemplare una serie di abitudini così. Se un musicista dell’Opera suona un capolavoro di Wagner che dura 4 o 5 ore, si guadagna il suo stipendio. Ma se fa un concerto in forma non scenica di quello stesso capolavoro, con un programma selezionato che dura un’ora, può rendere conto alla cassa di un cento per cento in più di paga, la cosiddetta indennità sinfonica. E i coristi?



Se uno intona «Va’ pensiero sull’ali dorate», dal Nabucco, in forma di concerto, quindi in frac o in abito da sera, le ali sono ancora più dorate e il cantante (per accordi sindacali) prende il doppio della tariffa normale. Se il regista chiede ai coristi di muovere la testa al ritmo della musica, secondo disposizione regolamentata, prendono pure l’indennità della prestazione specifica.



E l’indennità arma? Se nella Tetralogia di Wagner devono roteare le lance o le spade o in quanto Galli combattenti nella Norma sfidare Roma brandendo asce e picche, i protagonisti di queste gesta da palcoscenico vanno risarciti per il sudore che producono (potrebbe provocargli un raffreddore, se gli si gela sulla pelle) e per il pericolo che corrono: e se l’ascia gli cade sul mignolo del piede? Qualche euro funge come balsamo.



IL FINALE

Ma ora sta cominciando «Cenerentola». Tra i 180 orchestrali e coristi in via di azzeramento, ma anche di riqualificazione a nuove condizioni, impazzano i sentimenti più svariati. «Vogliono ridurre questo teatro a un call center», si lamenta il primo trombone. I tecnici di palcoscenico, che alcuni mesi fa volevano scendere nella buca degli orchestrali per prenderli di petto, sono in molti casi arrabbiati con i musicisti combat: «Se continuano così, il teatro va in liquidazione e veniamo licenziati tutti quanti». In 500 o quasi. Ma lo scenario horror sembra proprio da scartare. E non manca in tanti la voglia di ricominciare.



«Cenerentola» è una fiaba che alla fine farà diventare principessa una ragazza che passava il tempo a spazzare la cenere dal camino. E anche qui, fuori dalla favola e dentro un teatro che pareva spacciato, vincerà probabilmente il lieto fine o la forza della realtà contro le inutili demonizzazioni.
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