Landini e quella cena rossa al Canottieri per decidere il futuro della Cgil

Maurizio Landini
di Nino Bertoloni Meli
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Venerdì 21 Novembre 2014, 23:58 - Ultimo aggiornamento: 22 Novembre, 00:13
Metti una sera a cena al circolo Canottieri Lazio, qualche giorno fa. Nessuno è canottiere, men che meno di fede laziale, piuttosto sono tutti animati da fede di sinistra. Da sempre.



Attorno a un tavolo leggermente rettangolare, si ritrovano: la presidente della Camera, Laura Boldrini; al suo fianco sinistro, l’ex leader del Pd, Pierluigi Bersani; segue Maurizio Landini, l’unico in maglione; subito dopo, Maurizio Migliavacca, l’ombra di Bersani ai tempi di Pierluigi; quindi Nicola Fratoianni, dirigente in ascesa dentro Sel, con gentile signora Elisabetta; e per finire, Nichi Vendola, leader di Sel, con il compagno Eddy Testa. L’occasione, i 60 anni di Ciccio Ferrara, consigliere e uomo ombra molto ascoltato da Nichi il rosso, un passato da sindacalista Fiom assai prima di Landini, ora deputato vendoliano.



IL CONVITATO DI PIETRA

Il tavolo d’onore della festa a tratti si divide per due, con il leader Fiom che si ritrova a confabulare fitto con l’ultimo leader del Pd prima dell’avvento di Matteo Renzi. Uno scambio di opinioni, uno sguardo allo sciopero generale, nonché ai futuri assetti di corso d’Italia, con un convitato di pietra fisso: Renzi.



Sono i giorni che vedono la recrudescenza delle polemiche tra Fiom, Cgil e palazzo Chigi, i contrasti dentro il Pd sul Jobs act, i tentativi di mediazione finiti bene dentro il partito del Nazareno.

Sono i giorni che vedono ogni manifestazione pubblica del premier punteggiata da cortei e proteste di Fiom e centri sociali, sempre lì pronti ad ”accogliere” Renzi per ricordargli che «il posto di lavoro non si tocca», e con il premier a replicare facilmente che i posti, lui, «li crea».



E sono anche i giorni in cui Bersani dà la linea alla minoranza interna del Pd: si resta dentro, e si punta a vincere il prossimo congresso, non si rema contro la ditta, un Bersani pontiere se non pompiere, cosa che scontenta e delude i più riottosi che infatti si presentano in quattro - Civati, Fassina, Cuperlo, D’Attorre - a illustrare alcuni emendamenti alla manovra, una sorta di contro manovra finanziaria. Si consuma una frattura verticale fra il grosso di Area riformista ispirata da Bersani, con il nuovo giovane leader Roberto Speranza, e i quattro, talché viene data per ormai certa l’uscita di almeno due, Civati e Fassina, a titolo personale e in solitaria, a cavallo dell’approvazione del Jobs e della manovra, per veleggiare verso i lidi di Vendola. E Landini?



Con Bersani c’è una lunga frequentazione, ogni volta che i due si incontravano, Maurizio concludeva sempre con un «dobbiamo vederci, Pierluigi», «certo, quanto prima». Vendola non ha da temere concorrenze landiniane: l’obiettivo del capo Fiom sarebbe quello di diventare il prossimo leader della Cgil dopo Suny Camusso, mentre Nichi il rosso tenterà di nuovo l’avventura Tsipras in salsa italiana, magari con Civati vice e, spera, più consensi nell’urna che non alle Europee.



E una nuova legge elettorale con soglia al 3 per cento costituisce certamente un incentivo per operazioni di questo tipo, tali da trasformare in realtà i sogni di rappresentanza politica in Parlamento. Una operazione, raccontano i bene informati, gradita anche a Renzi, che con gli irriducibili ha perso ormai ogni contatto e non fa mistero di vederli bene fuori più che dentro (del resto, 8 deputati di Sel sono appena entrati nel Pd al seguito di Gennaro Migliore, il saldo sarebbe comunque positivo, mentre dalle file montiane è arrivato il coriaceo Andrea Romano, un passato di sinistra anche lui).
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