«Il mio inno alla pace», il maestro Riccardo Muti racconta il concerto di stasera ad Assisi

«Il mio inno alla pace», il maestro Riccardo Muti racconta il concerto di stasera ad Assisi
di Rita Sala
4 Minuti di Lettura
Sabato 21 Novembre 2015, 15:36 - Ultimo aggiornamento: 10 Dicembre, 09:14
Erano giovani al Teatro Bataclan, a Parigi; sono giovani stasera ad Assisi, per il concerto che Riccardo Muti, con i suoi Cherubini, dedica alla pace, alla convivenza, alla difesa della libertà. Nella Basilica Superiore di san Francesco eseguirà, con la "sua" orchestra giovanile, l’”Incompiuta” di Schubert e la “Quinta” di Beethoven, brani altamente simbolici, legati come sono alla tragedia della giovinezza stroncata il primo, al conflitto dell'Uomo che cerca la luce il secondo.

Muti e i suoi ragazzi vanno pellegrini alla casa di Francesco in un momento particolare della Storia, mentre i valori e le opinioni si mischiano e si sovrappongono in ridda impazzita, senza per questo risolvere (o capire) gli scontri Oriente-Occidente.

Il concerto fa parte del progetto “Omaggio all’Umbria”, che si concluderà il 20 dicembre.





Maestro, fare musica ad Assisi in un frangente difficile come quello che stiamo attraversando le provoca un carico emotivo particolare?

«Indubbiamente. Siamo solo musicisti, ma sotto un cielo inquieto che vede impegnati i grandi della politica, le forze militari e, soprattutto, il dolore della gente, quella colpita e quella che assiste al massacro con occhi increduli, sempre più preoccupata per il futuro. Siamo solo musicisti, certo, ma l’Arte ha un potere immenso, rigeneratore. Raggiunge i cuori per vie ignote alla violenza, all'intransigenza, al rifiuto dell'altro. Predispone al rapimento estetico, al di là di ogni comprensione immediata. E, figurativamente, fa crollare le montagne, spegne i vulcani, ci riporta nell’Eden dove esisteva la pace tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e gli uomini. Francesco, non a caso, è la guida migliore in questo percorso. Nel 1219 si avventurò in Oriente - era tempo di Crociate - ed ebbe un lungo incontro con il sultano Al Kamil, confrontandosi con lui sulla religione nel corso di un colloquio amichevole, poco somigliante agli scontri sanguinosi del Medio Oriente».



Uno dei suoi annuali concerti, “Le vie dell'Amicizia”, fu, nel 2004, in Siria, nel teatro romano di Bosra, vicino al confine giordano. Scrisse in quell'occasione il professor Paolo Matthiae, sul Messaggero: “Grande musica in una terra di civiltà antichissima, già ponte tra Oriente e occidente, una sorta di materializzazione fisica e territoriale del dialogo”.

«Ricordo. Una sera magica nel teatro romano a 140 chilometri da Damasco, le candide colonne della scena, la platea di marmo, le scalinate ripidissime. Pensai che aveva ragione Moravia: “Crediamo di viaggiare nello spazio e invece viaggiamo nel tempo”».



Il mondo attuale è pronto a ri-accogliere Francesco?

«Francesco è vivo e presente, senza flessioni di carisma e gradimento. Rimane il giovane capace di scelte radicali, l'artista che ci ha lasciato il Cantico delle Creature, esemplare nella sua semplicità e purezza, il testimone indimenticabile che prende sostanza dall'azione ancor prima che dalla parola».



Non esiste forse egida migliore per un concerto che vorrà, appunto, “parlare con la musica”.

«Attraverso Schubert e Beethoven grideremo contro le sopraffazioni e la violenza. In occasioni come questa non esiste paura della retorica, dunque diciamolo: qui si tratta di conservare la nostra cultura, proteggere le nostre tradizioni, rivendicare la nostra identità, ma senza calpestare quelle altrui. Sono un cultore - si sa - di Federico II, del suo messaggio e della sua persona. Federico amò e realizzò un sincretismo di civiltà che ancora oggi ci illumina. Vivere in pace non è impossibile».



E poi?

«E poi il coraggio. Vincere la paura, le reticenze, le omissioni, i silenzi. Bisogna, in fondo, rischiare. Farlo per amore, mettendoci a repentaglio uno per uno. Francesco, andando in Oriente, contrasse il glaucoma, malattia di cui ha risentito fino alla fine. Nel suo slancio missionario, non fece calcoli di alcun tipo, se non quelli legati ai suoi obiettivi».



Nulla di più giovane, maestro, di questo messaggio. E nulla di più convincente del contesto assisano.

«È un appuntamento di artisti. Ci sono Giotto e i suoi allievi, che hanno affrescato la Basilica; c'è Francesco, che respira nella sua chiesa; ci sono Schubert, genio tormentato che morì a soli 31 anni lasciandoci dei capolavori, e Beethoven, la cui sofferenza, non a caso segnata dalla suprema ricerca della libertà, viene da una musica che tende alla luce. Ci sono infine, mutatis mutandis, i ragazzi della Cherubini: in una società a soqquadro, ghignante, cinica e malevola, riaffermeranno che, davvero, la Bellezza ci salverà».

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA