I nuovi Monuments Men, accademici “in incognito” per evitare saccheggi nei musei del Medio Oriente

I nuovi Monuments Men, accademici “in incognito” per evitare saccheggi nei musei del Medio Oriente
di Flavio Pompetti
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Venerdì 27 Febbraio 2015, 22:51 - Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio, 00:08
Li abbiamo visti accanirsi con mazzuoli e martelli pneumatici all’assalto di statue millenarie nel museo di Mosul. Poi li abbiamo visti all’opera alla biblioteca comunale della città irachena, mentre davano alle fiamme volumi preziosi insieme al palazzo che li custodiva. I falangisti dell’Isis stanno saccheggiando sistematicamente ogni segno delle culture che li hanno preceduti, senza nemmeno distinguere troppo tra “miscredenti” greci e romani e i loro correligionari e nemici sciiti e sufiti. E purtroppo il terreno sul quale si muovono questi giustizieri della storia universale è il più ricco al mondo di arte antica, tanto da far palpitare i conservatori di musei di tutto il mondo, e gli studiosi di università lontane. Quando i talebani fecero esplodere nel marzo del 2001 i Budda scolpiti nella rupe di Bamyan, in Afghanistan, i curatori del Metropolitan Museum e gli artisti della città si radunarono in silenzio e in solidarietà nelle stanze di arte islamica del museo newyorkese a ritrarre i lavori esposti. Quando il saccheggio delle collezioni di Baghdad scoppiò tre anni dopo con l’invasione americana, gli accademici cominciarono a organizzarsi per limitare i danni. I più temerari tra loro, provenienti dalle università americane ed europee, hanno preso a viaggiare verso la Siria e l’Iraq, e a visitare i siti archeologici.



I PALADINI Si muovono con cautela e nel completo anonimato, con l’aiuto di loro colleghi arabi che gli fanno da scudo nelle trattative con la gente del posto. Nell’insieme, compongono una task force simile a quella dei Monuments Man, i militari-intellettuali che il presidente Eisenhower accorpò durante la seconda guerra mondiale con il compito di salvare il salvabile tra i bombardamenti che colpivano i paesi europei ad iniziare dall’Italia. Il primo compito di questi paladini è documentare il patrimonio d’arte esistente nella zona, cercare di compilare una lista di quanto è stato già saccheggiato, e soprattutto di quanto è stato già trafugato fuori dall’aerea e venduto a collezionisti privati intorno al mondo.



I maggiori musei sono stati assaliti e svuotati da tempo. La caccia è ora ai siti archeologici che ancora nascondono tesori sotterrati. «Viaggiare nella zona - dice l’archeologa Katharyn Hanson dell'Università della Pennsylvania - è come trovarsi in un campo di groviera: ogni angolo è stato scavato alla ricerca di artefatti». In Iraq i saccheggiatori scavavano con le mani. In Siria oggi l’Isis dispone di bulldozer e di contrattisti specializzati negli scavi, i quali passano il bottino nelle mani di venditori di certificata militanza jihadista. Solo questi ultimi sono autorizzati a varcare il confine verso la Turchia, dove li attendono poco scrupolosi mercanti pronti a smerciare gli oggetti d’arte sulle maggiori piazze internazionali. Un’asta londinese è stata bloccata la scorsa estate, quando si è scoperto che nel lotto c'erano diversi pezzi di provenienza siriana.



Ma nel 2007 a New York la scultura calcarea di un leone di appena 8 cm di altezza e di probabile provenienza irachena è stata venduta con successo per 57 milioni di dollari, ad un acquirente anonimo. I Monuments Man contemporanei sono costretti ad agire con la massima discrezione. La loro stessa presenza in un dato luogo è un segnale di allarme per i saccheggiatori a caccia di reperti. Lo stesso vale per le mappe e per i cataloghi che gli archeologi stanno tracciando, grazie al finanziamento del dipartimento di Stato americano.



A Damasco, a Baghdad gli studiosi occidentali istruiscono i loro colleghi arabi sulla locazione supposta delle opere d'arte, e suggeriscono nascondigli dove trasportarle, fuori dalle mira dei saccheggiatori. Eventuali salvataggi già compiuti sono coperti dalla massima segretezza. Nonostante il bando emesso dall’Onu contro la commercializzazione di reperti archeologici provenienti dalla Siria, il traffico è enorme: alcune chiavette USB di proprietà dei guerriglieri islamici, rinvenute dai militari iracheni, hanno mostrato che il solo saccheggio di oggetti d’arte dopo la presa di Mosul ha fruttato all’Isis due miliardi di dollari.



L’arte degli Assiri è troppo facilmente identificabile, e per questo viene immediatamente distrutta.
Si salva invece tutto quanto proviene dal periodo greco, romano e bizantino, perché è più difficile attribuirgli una particolare collocazione tra i paesi del mediterraneo. La violenza distruttiva più feroce è stata consumata a Dura Europos, un villaggio siriano sulla riva dell'Eufrate, che era un simbolo perfetto di tolleranza, per la presenza simultanea e pacifica in tempi storici di ebrei, cristiani e pagani.
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