“Like a Rolling Stone”, la pietra miliare del rock

“Like a Rolling Stone”, la pietra miliare del rock
di Marco Molendini
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Domenica 19 Aprile 2015, 23:32 - Ultimo aggiornamento: 23 Aprile, 20:54
Sia come sia, ovvero che il rock sia vivo o morto o che stia così così, un fatto è certo, la forza della sua memoria è irresistibile.

Specie in tempi come questi. Basta dare uno sguardo al calendario, quello di mezzo secolo fa: anno 1965. L'anno di “Satisfaction”, di “Yesterday”, di “I feel good”, di “Light my fire”, della nascita dei Doors e dei Pink Floyd e l'anno di “Like a Rolling Stone”, uno dei pezzi più influenti di tutta la storia della musica. Un'esplosione di rabbia, un atto di ribellione contro la ribellione (come venne definito), l'elucubrazione di un narcisista di genio, sicuramente un capolavoro, destinato a diventare una pietra miliare (altro che pietra che rotola), al di là del suo successo.

E dire che quel pezzo fuori norma, che durava sei minuti, ebbe non poche difficoltà a essere pubblicato. Anzi, non era nato neppure per essere una canzone, ma piuttosto uno sfogo (Dylan lo definì addirittura «un conato di vomito»), un urlo (come riferimento ecco il celebre Howl, urlo appunto, di Allen Ginsberg). C'è l'aveva l'irascibile Bob, il cui carattere sembra essersi ammorbidito solo ora (come racconta la serenità dell' ultimo, splendido album dedicato alle canzoni di Sinatra), un po' con tutti.



IL CARATTERE

Perfino col successo che gli era piovuto addosso e con quel mondo superimpegnato (ecco la ribellione alla ribellione) radicalizzato sulla lunghezza d'onda del folk revival: «Non credo in nulla e non ho nessun messaggio da dare» si sfogò in un intervista. O, forse, ce l'aveva anche con la sua fresca ex fidanzata Joan Baez (i due si erano appena lasciati dopo il tour inglese in cui nei suoi show non le diede il minimo spazio, lui ormai famoso, mentre lei lo aveva praticamente lanciato qualche anno prima). Dicono che forse poteva avercela anche con Andy Warhol per il modo in cui trattava la modella Edie Sedgwick, stellina della Factory dell'artista (poi ispiratrice di Femme fatale dei Velvet underground), con cui Bob ebbe una laison prima di sposare Sarah Lownds. Sia come sia, il valore del pezzo va ben al di là delle circostanze occasionali e personali che l'hanno ispirato, perché ha la forza di un manifesto, di un'anatema capace di interpretare l'epoca e il momento, la rabbia, la voglia di rompere tutto che poi sarebbe deflagrata di lì a poco nelle società occidentali.



Senza contare la felicità musicale dell'intuizione, di quella meravigliosa e insistita domanda, «How do you feel?», centro gravitazionale del pezzo, come lo stesso autore confessò: «Non avevo mai pensato a quel testo come a una canzone, finché un giorno non mi sedetti al piano e cominciai a cantare quel verso». Una domanda insistita che sottolinea il modello ispirativo del gospel e della black music. Ipotesi che calza a pennello con l'uso, che fu del tutto casuale, dell'organo che con il suo riff caratterizza l'arrangiamento.



Casuale perché fu una scelta della seconda giornata di sessione (nelle prime versioni della precedente seduta del 15 giugno la canzone era su un tempo di tre quarti, quello del valzer) e per l'uso accidentale del tastierista Al Kooper, che l'organo lo sapeva appena suonare (e in effetti nell'edizione originale qualche, pur fascinoso, scompenso di intonazione c'è). E poi, a suggellare il tutto, c'è il tono dell'interpretazione: cinico, beffardo, provocatorio. Si spiega così la sua forza, si spiegano così le migliaia di rivisitazioni: da Jimi Hendrix, ai Rolling Stones, alla citazione di John Lennon nell'introduzione di “Dig It” nell'album “Let it be”, alle centinaia di altre interpretazioni, compresa quella che l'Italia cosidetta beat di allora fece con “Come una pietra che rotola” di Gianni Pettenati: nulla, comunque, a confronto con la spericolata traduzione di Mister Tamburino ad opera di Don Backy.



LA CASUALITÀ

Eppure il disco rischiò di non uscire. A essere perplessi per la lunghezza inusuale (lo sarebbe ancora oggi) erano i discografici (che non amavano neppure la svolta elettrica) tanto da catalogare la registrazione di “Like a Rolling Stone” come scarto. A dare una mano fu il caso: una copia arrivata di straforo in una discoteca di New York, il pubblico che gradisce, le radio che si accodano, il dietro front della Columbia, il brano che scala le classifiche, Dylan che da folksinger diventa rockstar e voce di una generazione. «E' la migliore canzone che abbia mai scritto» ammise il cantautore. E confessò: «Per scrivere una canzone così ci vuole uno spirito che te la dà e tu non sai neppure cosa significa». Se poi lo spirito ha la fortuna di scegliere un ragazzo americano riccioluto di 25 anni, questi non può che diventare Bob Dylan.

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