Sardegna, trovata la Wall Street delle Ninfe: gli archeologi portano alla luce la prima Borsa del Mediterraneo

Sardegna, trovata la Wall Street delle Ninfe: gli archeologi portano alla luce la prima Borsa del Mediterraneo
di Fabio Isman
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Domenica 9 Agosto 2015, 23:30 - Ultimo aggiornamento: 23:56
Gli archeologi, in Sardegna, hanno trovato la prima «Wall Street» del Mediterraneo, e la più antica piazza pubblica, lastricata: del IX secolo avanti Cristo, precede l’Agorà di Atene e i Fori di Roma. Le hanno scavate in una baia che è tra le più sicure e protette dell’isola: parecchio dopo, i Romani la chiamano «delle Ninfe»; ci tenevano una flotta e, poco lontano da qui, edificano una villa, piena di mosaici. E ancora più tardi, nella seconda guerra mondiale, era una base per gli idrovolanti: qui ha vissuto gli ultimi giorni, ci sono le immagini, Antoine de Saint-Exupéry, l’autore del Piccolo Principe, precipitato in mare il 31 luglio 1944 con un aereo decollato dalla base di Borgo, in Corsica. Pilota di guerra, il suo ultimo libro uscito in America nel 1942, ne narra le missioni di ricognizione nelle Ardenne, quando la Francia era ancora libera: «Per questo», spiega Pasquale Chessa, «era stato ritenuto il primo libro antinazista».

In due promontori che coronano questa stessa baia, sono state rinvenute le prime tracce di vita nell’isola: nella grotta Verde di Capo Caccia, e in quella dei Cervi a Punta Giglio, che, negli anni 40, è pure diventata formidabile fortilizio pieno di cannoni sulla sommità: si pensava che gli alleati potessero sbarcare proprio qui.



IL NURAGHE

A Nord di Alghero, in fondo alla baia di Porto Conte si era già scavato tra il 1982 e il 1997. Era stato ritrovato un nuraghe del XIV secolo a.C.: uno dei 104 che erano in zona, catalogati da Giovanni Pinza nel 1904. E attorno al mastio, un villaggio antichissimo, fatto di capanne. Poi, gli scavi si sono fermati. Ripresi nel 2008 e condotti da vari enti: l’Università di Sassari, la soprintendenza, altri atenei, quattro italiani tra cui La Sapienza di Roma, sette di metà Europa e Canada. Con incredibili sorprese. A Sant’Imbenia, questo il nome del luogo, «abbiamo scoperto che, nel IX secolo, nel nuraghe cambia tutto», spiega Marco Rendeli, il responsabile dei lavori. Si trasformano le vecchie capanne. Nascono altri spazi, pubblici, e una piazza; e si ritrovano depositi ricchi di materiali, con reperti che provengono da mezzo Mediterraneo. «E’ diventato un sito di commercio e di scambio; ancor prima di costituire le colonie, vi approdano i fenici e i greci. C’era l’acqua; il luogo è a un giorno e mezzo di vela dalle Baleari; il porto di terra più vicino è Barcellona», dice Rendeli.

Così, ecco le capanne che diventano dei ripostigli. In una, sotto il pavimento, 31 lingotti di rame: 43 chili di peso; e, sotto un ulteriore pavimento, altri 42 lingotti, e altri 41 chili di materiale. In un’altra, dieci chili di panelle di bronzo. E la prova che qui c’erano forni per fondere. A non più di 20 chilometri, miniere di argento, ferro e rame. Cambiano orientamento le capanne laddove si apre la piazza: perché tutte guardino su essa; e i nuovi stipiti sono tutti analoghi: in arenaria arancione. C’è anche un ambiente più grande, elissoidale, con nicchie nei muri: «E’ una sorta di sala di rappresentanza». In un altro locale, si recupera un chilo e mezzo di semi di cardo selvatico: già in antico si sapeva che fa bene al fegato e alla cistifellea; lì, c’era pure un piccolo peso in piombo: «Pensiamo a una sorta di farmacia». Sant’Imbenia era un’area di sosta per i grandi navigatori dell’antichità. Che in cambio lasciavano le loro ceramiche e altro: recuperati frammenti greci, dall’Eubea e da Atene; iberici, nord africani, etruschi; provenienti da Cuma e Pitecusa: l’attuale Ischia, la prima colonia greca fondata nella penisola. Un locale ha uno strano, piccolo, trono rossastro; un altro è un larario, un luogo sacro; un terzo ha un grande bacile in pietra, una vasca di due metri usata per la fonderia; i sei negozi, l’aula più grande, due spazi aperti sono attorno alla piazza pubblica lastricata con ordine. Scavate perfino le chele di un’aragosta dell’VIII secolo a.C.: residuo di un pranzo «importante» e, comunque, succulento? L’acqua era distribuita con canalette per l’intero villaggio, e c’era una sorgente vicinissima.



L’EXPORT

I reperti più misteriosi sono uno scarabeo orientale e due frammenti di avorio d’elefante, la cui lavorazione non era conclusa; e l’immanicatura di una spada iberica. Trovate le ceramiche locali, però realizzate su forme non del luogo, come le decorazioni e i rivestimenti; in qualche caso, imitavano i prodotti fenici, a riprova dell’intensità degli scambi. Le anfore di Sant’Imbenia sono state catalogate un po’ dappertutto: a Huelva, a Cartagine e altrove. Individuate perfino le cave d’argilla da cui provenivano: a due passi da qui, a Porto Ferro o sul Lago di Baratz, che è l’unico naturale di tutta l’isola. In più, pure l’abbondanza dell’agricoltura e dell’allevamento potevano essere assai utili ai navigatori di passaggio. «Un emporio del genere, così antico, non era mai stato trovato», spiega l’archeologo dell’Università di Sassari.

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