La vigilia di Alexis: «Io come Renzi voglio cambiare verso all’Europa»

La vigilia di Alexis: «Io come Renzi voglio cambiare verso all’Europa»
di Mario Ajello
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Sabato 24 Gennaio 2015, 23:45 - Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 11:18
dal nostro inviato

ATENE A tavola, in Grecia, non si può fumare. Ma Alexis Tsipras dice ai commensali: «Fate pure». Il tipo è così. Rilassato. Sorridente sempre. Mangia e mangiano e sorridono tutti insieme a lui in un circolo sportivo (Canottieri Lazio? L’Aniene? No. Ma quasi, e dunque non un centro sociale della periferia o del Pireo ma una location da Atene simil-pariolina che contrasta con il pauperismo modello nuova sinistra greca di governo targata partito Syriza) e pasteggiando e motteggiando si capisce quanto il probabile premier della sinistra radicale, che oggi sarà designato dalle urne, sia allo stesso tempo fuori dal sistema ma dentro il sistema.



Se non altro perché il generone ateniese è con lui, molti imprenditori se lo coccolano ma a tavola con il Chavez o il Lula di quaggiù o con il Zorba il greco che vuole tirare i connazionali fuori dalla crisi economica tremenda e sfidare la Merkel o negoziare con frau Angela ci sono italo-gruppettari come Luciana Castellina e qualche fricchettone ellenico che non vestirebbe mai come Alexis il quale non ha codino né look alternativo né aspetto intellettualistico da ceto medio riflessivo progressista ma la solita giacca grigia e la camicia azzurra non botton down.



«IO E RENZI»

«Io personalmente Renzi non lo conosco», dice Tsipras pasteggiando e brindando tra i tavoli come se avesse già vinto e come se fosse a un matrimonio, «ma i nostri staff hanno preso contatti e la nostra sintonia è naturale. Va cambiato verso all’Europa, perché l’austerità sta strangolando tutti». Lui non sa di avere usato una formula molto renziana, ma vabbè: sta per arrivare a tavola il tsipouro, una specie di grappa da piccola taverna greca tornata di moda sull’onda del neo-pop-chic del leader borghesissimo della sinistra alternativa che sta andando al governo, e tutti bevono con lui. Non in un clima però da festa dell’Unitá.



Tsipras, a dispetto della Castellina che gli siede poco distante, è uno tutto concentrato sulla Merkel e su come trattare con lei e tutt’altro che irriducibile - nonostante abbia la pazza idea antistorica di riassumere tutti i dipendenti licenziati non dalla Troika ma da una realtà insostenibile e spendacciona fuori tempo massimo - ai cliché della sinistra italiota ed europea che lo adora ma chissà fino a quando, visto che non potrà mantenere le promesse che fa e con cui oggi vincerà le elezioni. Lui è un tipo che canta Bella ciao in chiusura della campagna elettorale per fare contenti i suoi fan ma è più da rebetiko (la vecchia musica dei profughi greci cacciati da Istanbul agli inizi del ’900) e questo suo tradizionalismo assai poco Civati (insieme a una normalità da gippone Porsche Cayenne, con cui girava fino a pochi anni fa con i suoi amici della Atene bene) fa parte della sua forza nazional-popolare, in un Paese tutt’altro che voglioso di stranezze.



ANTICO E MODERNO

Se non fosse così, antico e moderno, di sinistra modernizzante ma sintonizzato sulla disperazione arcaica di un Paese arcaico che non sa se aprirsi all’Europa o restare arroccato in se stesso, non si accingerebbe a vincere e probabilmente a governare da solo con il suo partito assai ibrido (paleo marxisti e vetero-sindacalisti di provenienza Pasok lo affollano) che si chiama Syriza. Ora si gode al ristorante Agrothera la vigilia del successo, insieme ad amici e staff, nel circolo dell’Atene bene al quartiere Zappio e non in una mensa popolare della periferia disgraziata dove è corpo a corpo tra i comunisti e i nazisti di Alba Dorata più i pakistani che votano un po’ per gli uni e un po’ per gli altri.



E se gli viene chiesto che cosa pensa di Renzi, lui risponde così: «Lo conoscerò molto presto e avremo tanto di cui parlare. La pensiamo alla stessa maniera sulla necessità dello sviluppo e sull’uscita da questo rigore alla tedesca che sta danneggiando tutti i cittadini europei».



IL PIANO PER LA CULTURA

Una documentarista ateniese, Nicole Alexandropoulos, che partecipa a questo pranzo di pre-vittoria (evidentemente Tsipras non è superstizioso), gli chiede: «Ma perché la vostra politica sulla cultura è cosí statalista e poco innovativa?». E lui: «Non ci crederà. Ma forse è più facile fare una trattativa con la Merkel piuttosto che fare un progetto di rilancio della nostra industria culturale. Provvederemo però anche a questo».



«Non siamo moderati, siamo maturi», spiegherà di lí a poco, prima dell’arrivo del caffè, il quasi premier Alexis. Poi esce dal ristorante e incassa qualche applauso, non da fan comunisteggianti ma da giovani passanti vestiti come lui e con la stessa normalità stilistica di Tsipras che è un ingegnere uscito da una scuola privata e diventato di sinistra ai tempi dell’università. Sarà questo l’uomo, o meglio il post ragazzo, capace di fronteggiare il panzer tedesco chiamato frau Angela? «Non voglio - spiega a chi ancora non ha capito o cerca di capire meglio - mettere su un’operazione di puro contrasto alla Merkel. Mi preparo, invece, alla necessaria trattativa istituzionale all’interno della Ue. Credo che, nei summit europei, ci saranno molti leader pronti a sostenere la posizione secondo la quale non ci possono essere queste dure regole del patto di stabilità, in un momento in cui l’economia è in crisi».



UN TRATTATIVISTA

Il premier in pectore parla così, e da Roma fonti di Palazzo Chigi assicurano: «Tsipras sarà un trattativista a livello europeo e non uno che si impunta». Probabile. Ma Alessandro il Grande, pur essendo bassetto e normalissimo, fidanzato da decenni e senza grilli per la testa (per ora), ha un doppio volto. È insieme un massimalista antistorico che promette contro la povertà di ripristinare lo Stato assistenziale e un utile personaggio della modernità europea perché propone la seguente questione fondamentale: l’euro può continuare ad essere un totem intoccabile da venerare con sussiego o va ripensato insieme al ripensamento dell’Europa non più ingessabile nel suo rigorismo anti-espansivo alla tedesca? Tematiche che esulano da un pranzo da circolo sportivo.



Ma che sono nel menú vero che interessa tutti. E che Tsipras andando via (la moglie e i due figli lo aspettano nella loro casetta di Kipseli, vecchio quartiere borghese del centro di Atene ormai degradato all’ultimo livello) affronta così, riportando il discorso sulla Grecia ma il discorso va oltre: «Negli ultimi giorni, abbiamo capito che forse avremo la forza per governare da soli, senza dover fare alleanze. E l’atteggiamento del presidente della Bce, Mario Draghi, sugli aiuti ai Paesi europei è un segnale importante che ci fa separare per il dopo. Perché avremo risorse per ben amministrare la Grecia».



«NOI E I TEDESCHI»

Il pranzo è concluso. La macchina (media cilindrata e niente di che) lo porta via. E da domani la vera difficoltà, anche se Tsipras non la esplicita ma la conosce bene, è quella che un personaggio del romanzo “L’esattore”, del celebre giallista greco Petros Markaris, sintetizza così fotografando a perfezione il senso dell’eterna tragedia greca: «I tedeschi hanno paura che ce li mangiamo. Ma non hanno capito che noi non mangiamo gli stranieri. Ci mangiamo tra di noi».

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