Agenzia delle Entrate, intervista al direttore Orlandi:
«Meno controlli e documenti, così cambierò il fisco»

Agenzia delle Entrate, intervista al direttore Orlandi: «Meno controlli e documenti, così cambierò il fisco»
di Luca Cifoni
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Sabato 6 Dicembre 2014, 23:03 - Ultimo aggiornamento: 8 Dicembre, 20:23
È stata tutta la vita in prima linea nella lotta all’evasione. Ma ora Rossella Orlandi, da meno di sei mesi alla guida dell’Agenzia delle Entrate, si pone l’obiettivo di rifondare il rapporto tra Stato e contribuente: «Basta con il sistema “guardie e ladri”, dobbiamo avviare un percorso nuovo».



Un percorso che inizia con la dichiarazione dei redditi precompilata, che «toglierà ai cittadini la scocciatura della richiesta dei documenti», ma poi proseguirà anche verso il mondo delle imprese.



Il punto di partenza non è dei migliori: per vari motivi, in questa fase il rapporto tra fisco e cittadini è complicato.

«C’è una complessità del sistema italiano: molti attori, norme che si sovrappongono, adempimenti non semplici. E poi sei terribili anni di recessione hanno acuito in modo forte le difficoltà sia delle persone sia delle istituzioni».



Come se ne esce?

«Va trovato un equilibrio. C’è una necessità assoluta di equità che è avvertita dai cittadini stessi: non è giusto che ci sia qualcuno che ha i mezzi ma non contribuisce alla spesa pubblica. Però a volte si è reagito con misure pesanti: norme penali difficili da attuare anche perché la giustizia è lenta».



La interrompo: proprio l’ampiezza del ricorso al penale è uno dei temi caldi dell’attuazione della delega fiscale, su cui non c’è ancora una soluzione.

«Guardi, io sono in questa amministrazione da tanto, ho iniziato nel 1982 ai tempi della famosa legge “manette agli evasori”. Ho passato anni della mia vita nei corridoi dei tribunali. Tutto era penale: l’omissione di una ritenuta, il ritardo su un termine. Risultato: abbiamo intasato tribunali e procure e non abbiamo concluso quasi niente. Poi nel 2000 è arrivata una nuova disciplina che ha introdotto dei criteri, ma ormai risale a 15 anni fa e non coglie tutto. Non so come sarà il testo finale dei decreti, ma sono una donna pragmatica: troppo penale vuol dire nessun penale. Il legislatore probabilmente sta valutando un’elevazione delle soglie, perché quelle previste nel 2011 - anche sotto l’onda dell’emergenza - sono talmente basse che di fatto ci rientrano quasi tutte le violazioni. Sicuramente sarà rafforzato il contrasto alle frodi: la differenza la fa l’esistenza di un dolo, di un’associazione a delinquere, con un danno di centinaia di milioni e la sottrazione di appalti e lavoro agli onesti».





C’è anche il nodo del raddoppio dei termini di accertamento in caso di azione penale, una possibilità che l’Agenzia ha sfruttato spesso.

«La norma sul raddoppio dei termini nasce nel 2006 con l’idea di coniugare i tempi dell’accertamento con quelli delle indagini penali che a volte durano anni. Si tratta di indagini complesse che riguardano anche corruzione, criminalità organizzata, riciclaggio dei rifiuti. Se ci fosse una lettura restrittiva, per cui ciò che viene dopo la scadenza dei termini non deve essere accertato dal fisco, vorrebbe dire incoraggiare la ricchezza illecita. La mia richiesta al legislatore è distinguere tra ipotesi in cui il termine ordinario di quattro anni basta, e situazioni straordinarie in cui la tipologia di frode è talmente complessa che rischiamo di vedere vanificate non solo le azioni che abbiamo in corso ora - che peraltro la legge dovrebbe tutelare con una norma transitoria - ma soprattutto quelle future. Io comunque sono un funzionario dello Stato, qualunque sarà la norma la applicherò scrupolosamente come ho sempre fatto».



A proposito di norme, con la legge di Stabilità è stato semplificato l’utilizzo dell’anagrafe dei rapporti finanziari contro il rischio di evasione. Sarà più facile andare a guardare nei conti correnti degli italiani?

«Il problema è che la vecchia norma era poco chiara. Secondo una certa interpretazione avremmo dovuto produrre prima liste di rischio, riscontrare delle anomalie, e poi verificarle attraverso i dati finanziari. Il risultato è che finora non abbiamo nemmeno cominciato. Con la modifica ci saranno minori limitazioni all'inizio, ma restano tutte le garanzie. I dati sono blindatissimi: l'analisi sarà fatta a livello centrale da pochissime persone ben identificate e tracciabili. E ricordo che noi lavoriamo in stretto contatto con il Garante della privacy. Il paradosso è che i dati finanziari degli altri Paesi, quelli del sistema Fatca, li abbiamo per convenzione europea e li lavoriamo senza limitazioni».



Il 2015 è l’anno della dichiarazione precompilata. Un passaggio importante. Ma non c’è il rischio di creare troppe aspettative, visto che buona parte dei contribuenti non sarà in grado di accettarla così com’è?

«Noi pensiamo che un quarto degli interessati potrà farlo. Ma è solo la partenza di un percorso. Da gennaio inizieremo a dare a tutti il Pin in modo diretto, mentre prima serviva un doppio passaggio. A quel punto il cittadino se vuole fare la precompilata potrà andare sul nostro sito, oppure rivolgersi agli intermediari. Nel primo caso, se quello che c’è scritto va bene il fisco non chiederà più niente. Ma anche coloro che scelgono il Caf o il professionista porteranno a loro i documenti e poi non avranno più responsabilità: in caso di errori ci rivolgeremo a chi ha fatto la dichiarazione, che del resto ha certificato con un visto che la documentazione è conforme alla legge. Questo ovviamente salvo i casi di frode da parte del contribuente».



Ma se arriva un dato sbagliato da parte dell’amministrazione il cittadino cosa dovrà fare? Non è un’eventualità astratta, basta pensare al catasto.

«Sugli immobili da parte nostra c'è un controllo multiplo, incrociamo i dati catastali con quelli delle dichiarazioni precedenti e con gli atti di compravendita. Per cui una parte delle anomalie potrà essere aggiustata prima. Ma se anche il cittadino dovesse fare la correzione, al massimo potrà essere controllato solo su quel dato, così come saranno eventualmente verificate le spese mediche aggiunte nel primo anno, in cui non siamo ancora in grado di inserirle noi. Però, ripeto, per la maggior parte delle persone finisce la scocciatura di dover conservare i documenti e portarceli. È questa la vera rivoluzione. Oggi, a parte i controlli automatici come quelli sulle detrazioni per familiari a carico, chiediamo a circa 250 mila soggetti ogni anno - sulla platea di dipendenti e pensionati - di esibire la documentazione ad esempio su spese mediche o ristrutturazioni, in base a criteri di verifica che cambiano di volta in volta. Queste richieste non ci saranno più».



E per gli altri, che non sono dipendenti e pensionati, come si concretizzerà il fisco amico?

«Dobbiamo metterci in linea con l’Ocse, andare sempre di più verso la compliance, l’adempimento spontaneo. Gli studi ci dicono che questo aumenta tanto più il contribuente ha un rapporto sereno con il fisco. Serve un nuovo patto: anche noi dell’amministrazione dobbiamo cambiare ottica, e lo dice una che non può essere accusata di non aver fatto il contrasto all’evasione. Ma va superato quel metodo “guardie e ladri” per cui il contribuente presenta la dichiarazione e poi vive con la paura o cerca di scappare in attesa del controllo».



Cosa vuol dire nella pratica?

«Noi abbiamo una serie di informazioni sui contribuenti. Daremo quattro anni di tempo per il ravvedimento, invece di uno. Metteremo a disposizione tutti i dati, all’inizio con comunicazioni dirette. Facciamo il caso di un’impresa: incrociando i dati dello spesometro possiamo scoprire che i ricavi non sono coerenti con quello che i fornitori hanno dichiarato. L’impresa lo verrà a sapere e potrà interagire prima che inizi un accertamento formale. Magari c’è un errore e allora lo correggiamo. Oppure l’impresa dichiara gli eventuali ricavi in più, nell’arco dei quattro anni, e si mette a posto con una sanzione ridotta, senza spese legali e complicazioni. Solo se non avviene niente di tutto questo partiranno le verifiche».
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