E Diocleziano salvò la civiltà

E Diocleziano salvò la civiltà
di Mario Ajello
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Mercoledì 1 Ottobre 2014, 06:07 - Ultimo aggiornamento: 7 Ottobre, 16:33

Nessuna polvere su Diocleziano. Anzi, l'imperatore romano - come tutti i grandi della storia, per chi li sa trattare - riesce a far parlare di s come di un personaggio che ha ancora tanto da dire. E la maniera con la quale l'imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone, gli storici Alessandro Barbero e Umberto Roberto interagiscono - moderati da Paolo Mieli, alla presenza del sindaco Ignazio Marino - con questo monumento non monumentalizzato ha qualcosa di appassionante e non ha nulla di accademico. Lui, l'imperatore senza sete di potere, sfugge a tutti i cliché che gli sono stati costruiti addosso nel corso dei millenni e loro - i protagonisti della presentazione in Campidoglio del volume «Diocleziano», scritto da Roberto e edito da Salerno - lo aiutano ad essere collocato nella luce che si merita. Che è quella di uno statista riformatore. Il quale, prima dell'abdicazione spontanea nel 305, ha perseguitato i cristiani non per motivi ideologici o per fanatismo o addirittura per tendenza al grand guignol ma per salvare la romanità, cioè la civiltà. Mentre Costantino è stato l'imperatore che l'ha svenduta, Diocleziano l'ha difesa con tutto il suo impegno, individuando nei cristiani un fattore di disgregazione per l'autorità costituita. «Egli non ha niente - spiega Caltagirone, appassionato di storia romana - contro la religione cristiana, anzi alcuni alti dignitari della sua corte professavano quel credo. Diocleziano capisce però che i cristiani stavano diventando uno Stato nello Stato, e che il nuovo potere che si stava stratificando non era romano e poteva portare alla rovina di tutto». Diocleziano agisce insomma per necessità, e con lungimiranza. «Comprende - incalza Caltagirone - che non è Roma che può cadere, ma è la civiltà che può cadere. In questo sta la grandezza del personaggio». E anche l'ingiusta maledizione e la vera e propria cancellazione dalla memoria alle quali la tradizione cristiana lo ha sottoposto. Fino a renderlo una figura storica così misconosciuta, che neanche si sanno con precisione i suoi dati biografici, quando nacque, quando morì.
Naturalmente una figura come Diocleziano offre infiniti spunti anche per Paolo Mieli, a cui piace leggere contropelo i fatti e i protagonisti della storia antica e di quella moderna. A inizio dibattito, lo storico e giornalista premette: «Diocleziano è un maledetto. Per essere stato l'ultimo grande persecutore dei cristiani. Ma è una persecuzione controversa. E Diocleziano si distingue per altre caratteristiche che ne fanno uno dei due o tre più importanti imperatori di Roma». Insieme ad Augusto, il fondatore dell'impero, e a Traiano, colui che ha portato l'impero alla sua massima espansione.

IL VENTENNIO
Il sindaco Marino fa il conto di quanti imperatori - 24! - si sono succeduti in pochi anni, prima dell'avvento di Diocleziano mentre l'umile soldato arrivato alla cima del comando, da cui poi sarebbe disceso per conquistarsi la pace e il silenzio da ex, «garantì per un ventennio stabilità e riforme moderne nell'amministrazione dello Stato. E' stato un colosso della storia troppo presto dimenticato». Nonostante la sua politica, come fa notare lo storico Barbero, si sia distinta per innovazione istituzionale ed egli «inventa la tetrarchia perchè l'impero romano aveva un vizio di fondo: l'assenza di regole per nominare l'imperatore».
A sua volta Roberto, l'autore del libro pubblicato dall'editrice Salerno, traccia a voce un quadro rapido ed esaustivo: «Diocleziano puntò sulla collegialità e sulla selezione attenta della classe dirigente e dei migliori ed ebbe una visione del potere basata sulla temporalità, cioè il potere come servizio e quando il servizio è compiuto ci si può ritirare».

I PARAGONI
La sua lotta strenua per salvare l'impero non ha avuto buon esito - anche perchè dopo Diocleziano non c'è mai più stato un Diocleziano - e la fine di quel sistema stuzzica un paragone neanche troppo acrobatico sia a Caltagirone sia a Barbero: quello con la fine dell'Urss. L'imprenditore e editore propone anche altri paralleli. Con Silla, il quale a sua volta fece il nobile gesto delle dimissioni dalla sua alta carica di comando: «Andò in Senato e disse: quello che dovevo fare l'ho fatto e non serve più che io sia dittatore a vita. Quando poi scese dal Campidoglio, venne insultato e contestato ma non reagì e rispose soltanto: io non ho più potere». Altro paragone, più in là nei secoli, quello con il Bonaparte. «Napoleone - osserva Caltagirone - fu un grande riformatore e un grande generale, poi sconfitto. Ma in Francia, nessuno parla male di lui, mentre da noi Diocleziano è biasimato e lo si vuole cancellare».

Ma ora, finalmente, la riabilitazione sembra cominciata. Anche per contrasto. Incalza Caltagirone: «Costantino non era un santo. Non era affatto così pio, come s'è sempre detto. Ha messo la moglie in un pentolone e l'ha fatta bollire. Ma soprattutto smonta, per sete di potere, tutta l'opera di Diocleziano. Il 313, la data dell'editto di Costantino in favore dei cristiani, segna il tradimento dell'impero e la fine della romanità. Il Medioevo comincia proprio in quel momento. E non ci sarebbe stato, se Diocleziano avesse trovato dei successori alla propri altezza». La storia, purtroppo, è andata così. Ma la rassegnazione non ha diritto di esistere e tantomeno è ammissibile, vista l'importanza delle vicende e la necessità di ricominciare, la falsificazione dei fatti storici.