Opera, i coristi contro gli orchestrali: «Tutti in scena anche licenziati»

di Raffaella Troili
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Venerdì 3 Ottobre 2014, 05:55 - Ultimo aggiornamento: 08:25
Colleghi orchestrali, andiamo in scena. E che lo spettacolo abbia inizio, il primo con la lettera di licenziamento in tasca, una storia triste, niente lieto fine, eppure il balletto Cenerentola.

Coristi e orchestrali del Teatro dell'Opera espulsi in blocco, incassano il colpo, spiazzati, sorpresi. E si dividono, i primi oltre che cantare, parlano: furiosi con chi ha portato al licenziamento. I secondi, strumenti sulle spalle, si chiudono nel silenzio. Chi ha scioperato e chi non, poco prima di andare in scena, s'ignorano sullo stesso piazzale, spaccati fino alla fine, uniti dallo stesso dramma, il licenziamento. «Siamo stati penalizzati tutti, quando la maggior parte di noi era a favore del piano di rilancio e non aveva aderito agli scioperi. C'è chi è responsabile, ed è una minoranza, di aver esasperato il livello del conflitto», i coristi del Circolo Sel Luigi Petroselli ce l'hanno con Cgil e Cisal.



«Adesso hanno tirato la bomba nel mezzo e hanno colpito tutti», si rammarica Daniele Marcorelli, sempre del coro. E un collega a fianco a lui: «Ma noi non ci facciamo licenziare come le filippine, noi siamo artisti. Non è detto che si debbano accettare le loro regole, possiamo sempre occupare o autogestire». Chi ha battagliato oggi non parla, chi è stato più morbido ora si sfoga. «Perché non si va mai a colpire chi l'ha creato il buco?», si chiede Maurizio Scavone, altro corista. La rabbia è che «la maggioranza dei lavoratori del coro e dell'orchestra non ha mai aderito agli scioperi. Per un motivo deontologico, perché non siamo operai, perché facciamo parte di una categoria speciale, quella artistica». Divisi anche sull'orgoglio, tra chi ha cercato una mediazione fino all'ultimo e chi forse per lo stesso piglio, non è sceso a compromessi. «Siamo stati tenuti in ostaggio da una piccola parte di lavoratori che hanno fatto sciopero».



«SONO QUI DA 25 ANNI»

«Non possiamo parlare, altrimenti ci licenziano, siamo in Cina. Ah già: ci hanno già licenziati». Un capannello di orchestrali, vestiti di nero, si chiude a cerchio, volta le spalle. «Tanto hanno cominciato con noi, poi continueranno con gli altri enti. Peccato, dovevamo diventare un'eccellenza con Muti». A bassa voce, con dolore più che risentimento ripetono «io sono qui da 25 anni». Hanno tre mesi per capire come uscire e rientrare dalla finestra, con l'esternalizzazione dell'orchestra a gennaio. Francesco Melis, 56 anni, Uil Com, nel coro con un concorso nazionale vinto nel 1984, è desolato: «E' una giornata nefasta, non avremmo mai immaginato che finisse così. Uil e anche Cisl avevano legittimato con il referendum il lavoro che si stava facendo. Ora dovremo costituire una cooperativa, ispirarci ai modelli europei. Che si salvi il teatro è importante ma dobbiamo salvaguardare anche i lavoratori, fino a ieri osannati per i risultati ottenuti. Tante famiglie sono cadute nel dramma».



«IMPUGNEREMO LE LETTERE»

Alle 20 la Cenerentola di Sergej Prokof'ev ha inizio, il sovrintendente Fuortes s'informa al telefono se tutto procede regolarmente. Orchestrali e coro sono al loro posto, non si sentono proteste, solo musica classica. «Ma lotteremo», promette qualcuno. «Qualche intoppo ci sarà» annuncia Marco Piazzai, 48 anni, primo trombone, da 23 tra i musicisti del Costanzi, segretario Fials-Cisal: «Ho dato arte e amore all'Opera di Roma e ora vogliono cacciarci. Siamo pronti a impugnare le lettere quando arriveranno. Nessuno si fa licenziare per essere riassunto a tempo determinato. L'articolo 18 è ancora in vigore».