DA NEW YORK A LONDRA
Il Costume Institute del Metropolitan ha dedicato la sua mostra primaverile a questo tema, “Punk: Chaos to Couture” (Punk, dal caos all’alta moda). Il curatore dell’istituto, Andrew Bolton, l’ha divisa in varie sale. Le prime due le ha definite “il racconto di due città”: si parte da New York, dal club Cbgb, nell’East Village, dove suonavano Richard Hell, Blondie, Patti Smith, e dove mise radici il movimento.
Nel pubblico del club c’era anche un giovane inglese, Malcolm McLaren, che diventerà il manager dei Sex Pistols. Fu lui, tornando a Londra, a lanciare insieme alla moglie Vivienne Westowood la boutique ufficiale del punk al 430 di King’s Road, nota con il nome di Seditionares.
Queste sono le radici, la nascita del movimento. E poi ci sono le sale in cui si spiega come i grandi stilisti abbiano reinterpretato i quattro elementi cruciali della moda punk: Hardware, Bricolage, Graffiti, Decostruction. Hardware, cioè “ferramenta”, inteso come chiodi, borchie, cerniere, lucchetti. Bricolage, il fai-da-te che consisteva nel recupero di rifiuti, in un tentativo di esprimere disprezzo per la società dei consumi.
SLOGAN E DENUNCE
Graffiti, cioé l’uso di vernice, spesso rosso sangue, per spruzzare sulle magliette slogan o denunce. Deconstruction, nel senso di distruzione: magliette strappate, jeans lacerati, giacche bucate.
Per ogni tema, eccone anche la reiterpretazione della haute couture: nell’Hardware, ad esempio, l’abito da sposa di Zandra Rhodes, anno 1977, tutto strappi e spille, o il vestito di Versace, anno 1994, aperto sui lati e tenuto insieme da spilloni (e che sarà per sempre ricordato anche perché lo indossò Elizabeth Hurley alla prima di “Four Weddings and a Funeral”).
BUCHI E RAMMENDI
Nel Bricolage i giubbotti in cocci, poster, carta straccia di Maison Martin Margiela. In Graffiti, le t-shirt di Moschino e gli abiti di Dolce e Gabbana. E infine Deconstruction, forse l’elemento più noto della moda punk doc, e più spesso “citata” nella moda commerciale: strappi e buchi dappertutto, perfino in un classico tailleur Chanel firmato da Karl Lagerfeld, anche se a guardare bene i buchi sono rammendati in modo che il vestito non si sfilacci tutto.
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