Biagiotti, lo stile della cultura

Laura Biagiotti con la figlia Lavinia
di Paola Pisa
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Venerdì 31 Luglio 2015, 16:31 - Ultimo aggiornamento: 16:32
​Ha tutto il fascino delle saghe familiari che fanno innamorare del made in Italy. «Una bella storia italiana», dice la protagonista. La griffe Laura Biagiotti festeggia 50 anni con la moda e la stilista racconta se stessa, la mamma Delia e la figlia Lavinia con cui lavora in simbiosi. Tre generazioni. Tre donne moderne con stessa grinta e stessa «religione per il lavoro».

Laura dice delle sue passioni, di lane pregiatissime, del bianco che non manca mai nelle collezioni. Della creatività che le fa ancora passare, dopo tanti anni, momenti divertenti tra tessuti e sarte. Parla della collezione fantastica di opere di Giacomo Balla. Delle avventure e dei primati. È una donna di cultura, che fa vestiti per le donne. E, il suo "mandala", è un continuo alternarsi tra l'amata archeologia ricca di passato e la moda che guarda sempre il futuro. Arcinota è la sua adorazione per la Città Eterna.



IL LEGAME

La creatrice ne parla nel Castello Marco Simone, Guidonia, pochi chilometri da Roma. La torre risale all'anno 1000, diventata icona e simbolo mondiale della griffe. «Era una "casa" che mi aspettava. Credo nel "genius loci" - racconta Laura Biagiotti che tra quelle mura vive e lavora - è stata una specie di scommessa, vedevo quella vecchia costruzione quando andavo al lavoro». Lei e Gianni Cigna, il marito morto troppo presto e papà di Lavinia, l'hanno acquistato. Restaurato. E hanno scoperto altre meraviglie. «Come certe Grottesche del '500. Faccio un lavoro cosiddetto effimero, ma abito in un monumento nazionale. Per i 50 anni di lavoro mi regalerò il restauro della villa romana del III secolo che è inserita nella proprietà, accanto ai campi da golf. A settembre i lavori. I miei due amori, moda e archeologia, sono incredibilmente uniti da questo luogo. Non avevo quaranta anni quando, nel 1982, sono venuta a stare qui».



C'era negli Anni '50 una ragazza, Delia Soldaini. Fa la segretaria di redazione, incontra personaggi come Pirandello, Mosca, Metz, Age e Scarpelli, il pittore Tamburri. Nel 1942 sposa Giuseppe Biagiotti. Il 4 agosto 1943 nasce Laura. La giovane Delia, che inizia a vendere biancheria in casa alle amiche. La sartoria, che viene subito dopo, ha grande successo. Le hostess dell'Alitalia indossano divise realizzate nel suo laboratorio. Gli Stati Uniti le commissionano una linea. «Ricordo mamma e la sua passione per il lavoro. Quella che ha trasmesso a me e a Lavinia». Sono gli Anni ’60, il made in Italy esplode. Laura lascia gli studi di archeologia e fonda nel 1965 una società per le grandi firme dell'alta moda: Schuberth, Capucci, Litrico, Barocco. Nel 1972 firma la prima collezione "Laura Biagiotti". Mamma Delia diventa presidente, si diletta a scrivere poesie in romanesco. Roma, ancora Roma.



INCONTRI

Ricorda la prima sfilata? «Esistevano ancora vestiti da mattina, pomeriggio, cocktail, sera. Angelo Tarlazzi, stilista italo-francese, lavorava con noi. Rompemmo gli schemi. Era un momento storico, da Firenze le sfilate si trasferirono a Milano, tutti amici. Missoni, Ken Scott, Krizia. Il calendario lo facevamo telefonandoci. In un secondo momento sono arrivati Armani, Versace, Ferrè». Personalità incontrate? «Diana Vreeland. La "Pitonessa". Per una mostra sulla Russia le abbiamo dato nostri collant d'oro. E poi, Princess Margaret sorella della regina. Bellissima con occhi pazzeschi. L'ho incontrata all'ambasciata italiana a Londra. Parlava l' "upper class english", difficile da capire. Nancy Reagan? Penso che il presidente degli Stati Uniti fosse lei. Dalla Russia è venuta al Castello la signora Gromiko, il New York Times scrisse "un vestito ha unito due mondi". Come dimenticare il fratello dell'Ultimo Imperatore: era appena uscito il film di Bernardo Bertolucci, ero in Cina per presentare la collezione e mi hanno fatto conoscere questo straordinario personaggio che faceva il calligrafo. Mi dedicò una tavoletta con l'iscrizione “Il linguaggio degli occhi vale più delle parole”».



Tanti i primati che hanno segnato la vita di Laura Biagiotti. «Sono stata la prima ad arrivare in Cina e in Russia. Pochi avevano investito in quei Paesi, mio marito guardava avanti. Ha dato internazionalità all'azienda. Ora è Lavinia a rappresentare la griffe. Lei è il futuro. Siamo alla terza generazione con un brand tutto italiano. Poche aziende possono vantare di essere ancora di proprietà di chi le ha iniziate. Riceviamo offerte dall'estero. Ma ci vantiamo di andare in senso opposto. Il profumo "Roma" e le altre essenze, prima voce nel business Biagiotti, da poco sono prodotti dall'italianissimo Gruppo Angelini. Lavinia ha deciso che questo è il suo lavoro. Si fa valere. Vive nella religione del bello e del lavoro. Come imperativi ha correttezza e impegno».



APRIPISTA

Il cashmere? «Dai twin set che portavo a 15 anni a Londra al mio "cashmere pop&rock". Anche un po' Shakespeariano. Quello inglese era rigido. Lo resi una piuma. E il New York Times mi definì la Regina del Cashmere». Il bianco. «È un inno alla purezza, alle cerimonia come Battesimo, Comunione, Matrimonio». Laura Biagiotti e l'arte. «Sono stata una apripista. Il restauro della Cordonata del Campidoglio disegnata da Michelangelo, risale al 1998. La moda mi ha consentito di avere cura di un monumento così importante per Roma. Come delle Fontane di Piazza Farnese. La collezione Biagiotti- Cigna costituisce il nucleo più importante delle opere di Giacomo Balla. È stata esposta al Chiostro del Bramante. Musei di tutto il mondo la chiedono. Il gilet ricamato dalla figlia dell'artista non sta mai qui. Il grande arazzo "Genio Futurista" è all'Expo». Altre imprese da mecenate: il sipario del Teatro La Fenice di Venezia restaurato. Ne "La grande bellezza" di Sorrentino, ha realizzato costumi di scena. «Il Golf Marco Simone? Puntiamo sulla prestigiosa Ryder Cup per il 2022».



Cosa pensa di Roma e la moda? «Mi sconcerta che la manifestazione romana sia "in eterno rilancio". Quello che funziona di più è proprio Roma. Hanno fatto bene gli stilisti di Valentino a scegliere Roma come "teatro". Vale il connubio Città Eterna - Moda Effimera». Felice? Risponde con pacata e intelligentissima ironia. «Molto. Ma la moda può essere bellissima e durissima. Fare moda per 50 anni provoca un piccolo disturbo mentale. "C'è un metodo in quella follia" dice Shakespeare in Amleto. Per distrarmi e riconquistare la "ragione", vado a Fregene, faccio il piccolo punto, leggo. Coltivo l'elasticità mentale. Arte, antichità, cashmere. Cani. Che fortuna. Ma....volete sapere? Una parte del mio cervello pensa sempre ai vestiti».
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