Macerata, Nino Ricci: la città riparta dal centro storico con i residenti e il lavoro

Nino Ricci (foto Calavita)
di Maria Silvia Marozzi
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Lunedì 20 Ottobre 2014, 10:24 - Ultimo aggiornamento: 23:36
«Macerata negli ultimi anni ha visto due conclusioni: la prima come centro amministrativo, la seconda come centro di residenza». Il maestro Nino Ricci tira le somme sulla sua città, che l'ha visto uscire per poi rientrare stabilmente.



«Ma per capire la propria città e farla avanzare, ci si deve concentrare sull'esperienza di essa stessa senza paragonarla alle altre».



Maestro Ricci, qual è la prima impressione che si raccoglie in città oggi?

«Quella di una Macerata che si sta spegnendo. Il primo segnale di ciò che sarebbe successo lo capii una mattina di qualche anno fa: vicino al Palazzo degli Studi i carabinieri trasferivano i valori della Banca d'Italia, le cui sedi sono localizzate nei capoluoghi di provincia. Con quel trasferimento, ebbi la sensazione che un'epoca fosse finita».



A quale epoca si riferisce?

«Penso al centro burocratico amministrativo rappresentato da Macerata a partire dal 1860. Allora essa venne concepita come capoluogo di provincia. Oggi si parla di smantellarle le provincie e questo è il secondo segnale del cambiamento».



Rispetto a decine d'anni fa, il centro storico ha perso anche un numero considerevole di abitanti. Che cosa è successo?

«C'è stato un trasferimento massiccio fuori dalle mura. Abbiamo avuto una nuova edilizia, per non usare il termine speculazione, orientata verso le periferie: a nord hanno creato un blocco, mentre a sud l'edilizia si è espansa a macchia d'olio. E' mancata razionalità in queste operazioni. E criterio, nonostante vigesse il piano regolatore Piccinato».



Come si potrebbe rimediare a questa perdita di peso specifico di Macerata? L'università ha un potenziale nel disegno di una città che si voglia pensare diversamente?

«Mi chiedo se la nostra università sia in grado di smuovere le cose. Con tutto il rispetto per Camerino, ma non è che qui rischiamo di diventare come quella università lì? La scuola deve lasciare una traccia consistente, deve dare stabilità al centro in cui opera».



Crede che presso il nostro Ateneo non sia così?

«Credo che qui viga una politica degli eventi: l'evento è qualcosa che si manifesta e subito passa. E' pendolare, non crea radici. All'Accademia girano professori che vengono da fuori, fanno sei ore a settimana e poi spariscono. Questo significa che non c'è stanziamento di persone e, in questo caso, anche di cultura».



Da dove occorre ripartire secondo lei, per una Macerata migliore?

«Le future amministrazioni pensino a rendere conveniente lavorare e ritornare ad abitare il centro, cosa che oggi risulta punitiva per via delle ingenti tasse e normative. Si deve stimolare la gente ad investire, sennò qui diverrà un ammasso di rovine, che ricascheranno sull'amministrazione e dunque sui cittadini».