Kelly, frammenti d'artista: all'HangarBicocca di Milano esposte le sue opere

Kelly, frammenti d'artista: all'HangarBicocca di Milano esposte le sue opere
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Domenica 26 Maggio 2013, 17:20 - Ultimo aggiornamento: 17:21
In un'intervista del 2004, l'artista americano Mike Kelley (Detroit, 1954, South Pasadina, 2012), in reazione alla critica che legava la sua opera a un presunto trauma di abuso infantile, da lui sempre negato, affermò che questa lettura esprime la società stessa in cui viviamo: una società del trauma, di cui lui si sarebbe appropriato. L'insofferenza di Kelley era del resto verso ogni critica che circoscrivesse l'arte in categorie, come l'arte minimalista, che egli riteneva autoritaria nella sua astrattezza. Kelley non partì mai da idee precostituite ma dalla cultura, bassa, per lui bacino infinito di materiale, e di cui trasformò i detriti, da demiurgo post-moderno, in “ritualismi materialistici”.



Un artista sempre controcorrente, come quando non lasciò Los Angeles, sua città d'elezione fino alla fine, quando a New York scoppiava il boom artistico degli anni '80. Nelle sue installazioni, l'artista rinchiuse il mondo edonistico e laccato del sogno americano, soffocato in stanze insonorizzate e iniziatiche, dove le sovradimensioni psichiche trasformano gli effetti personali in effetti psichedelici, in atmosfere straniate vicine a quelle di David Lynch e David Bowie. Figlio, insieme al compagno di strada Tony Oursler con cui fondò il gruppo musicale The Poetics, della cultura musicale punk, Kelley colse l'anomalia del passaggio fra gli anni '70 e gli '80 ed edificò quello che sarebbe stato il luna park pericolante dell'era materialistica a venire.



CONTRO L’ORTODOSSIA

Poco conosciuto in Italia rispetto alla fama internazionale, Kelley torna finalmente nel nostro paese, a dieci anni dall'esposizione alla galleria Emi Fontana di Milano, con la mostra personale “Eternity is a Long Time”, realizzata negli spazi post-industriali Pirelli della Fondazione HangarBicocca, a Milano, fino all'8 settembre. La mostra è curata da Andrea Lissoni, curatore di HangarBicocca, ed Emi Fontana, compagna dell'artista fino alla fine. In linea con la sua anti ortodossia, la mostra non presenta le opere più canoniche come gli Stuffed Animals di fine anni '80 (sculture create con vecchi peluche) o i Kandor (capsule con la città criptoniana di Superman), benché si inserisca nel fitto calendario dedicato all'artista: la grande retrospettiva “Mike Kelley” che, dallo Stedelijk di Amsterdam (con oltre 200 mila visitatori) prosegue ora al Centre Pompidou di Parigi fino al 5 agosto, e poi sarà a New York e Los Angeles.



SENZA DIDASCALIE

Ad HangarBicocca sono in mostra dieci opere, quasi tutte visibili in Europa per la prima volta, come Profondeurs vertes, l'installazione video presentata solo al Louvre nel 2006, e Light (Time) – Space Modulator, la scala a chiocciola di 8 metri proveniente dalla casa dell'artista che ruota nello spazio, a cui sono agganciati tre proiettori che diffondono immagini di fotografie dei vecchi abitanti della casa. Un omaggio di Kelley al Light-Space Modulator del 1922-30 di László Moholy-Nagy e alla vecchia Europa che da subito apprezzò la complessità del suo lavoro. Una mostra dove le opere s'inseriscono in maniera magistrale nelle sale della Fondazione, che da quest'anno si avvale della consulenza artistica di Vicente Todolí (ex direttore della Tate Modern), e dove saranno esposte opere di artisti capaci di confrontarsi con il genius loci di HangarBicocca, antitetico alle asettiche e più agevoli white box. Artisti come Mike Kelley, che non temono la libertà data dall'assenza di foglietti illustrativi, consapevoli che l'arte non si manifesta nelle didascalie che la spiegano, né nelle categorie che la collocano, ma nella loro irruente incongruenza.
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