Franceschini: «Il colle di Leopardi non sarà deturpato»

Franceschini: «Il colle di Leopardi non sarà deturpato»
di Mario Ajello
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Domenica 30 Marzo 2014, 10:31 - Ultimo aggiornamento: 11 Aprile, 11:05

Ministro Franceschini, come andata l’altro giorno con Obama al Colosseo? «Incontrare il presidente degli Stati Uniti, ma soprattutto una persona carismatica qual è Obama, è sempre un’emozione. Come mi avevano detto quelli che già lo conoscevano, a cominciare da Enrico Letta, è uno che ti mette a tuo agio. È una persona molto empatica. Mi ha detto più volte che il mestiere di ministro dei Beni culturali è un great job, un lavoro stupendo. Mi ha confermato quello che sapevo e che è un altro dei paradossi italiani. Mentre da noi il ministero della cultura e del turismo è sempre stato considerato, indipendentemente purtroppo dal colore dei governi, un dicastero di serie B, visto da fuori dei nostri confini - da parte del presidente Usa e di qualsiasi cittadino del mondo - appare come qualcosa di cruciale e di strategico. Tutti si accorgono bellezza e storia sono la nostra principale risorsa per vincere la sfida della competizione globale».

Ma noi non ce ne rendiamo conto?

«Dobbiamo capire, una volta per tutte, che è finito il tempo in cui le economie nazionali puntavano a fare un po’ di tutto. Ogni Paese dovrà insistere su ciò che ha di più forte. E l’Italia deve puntare sempre di più sulla bellezza, sulla creatività, sull’arte, sulla storia. Mi sento alla guida del più importante ministero dell’economia italiana».

Ma allora perché suicidarsi lottizzando l'“ermo colle” di Recanati, deturpando non solo l'anima di Leopardi ma un luogo turistico e un patrimonio culturale ineguagliabile?

«La Soprintendenza giustamente si è opposta a questo intervento urbanistico. Il Consiglio di Stato ci ha dato torto. Ma io ribadisco che useremo tutti i mezzi a nostra disposizione per impedire che un luogo che appartiene alla storia della letteratura e alla civiltà mondiale venga deturpato. Non esiste contrapposizione tra il dovere di tutela del nostro patrimonio storico, artistico, ambientale, che è quello che fanno le nostre soprintendenze applicando l’articolo 9 della Costituzione, e la volontà di valorizzare tutta la nostra bellezza anche come contributo per far crescere il Paese e per farlo uscire dalla crisi».

Sta dicendo che fra grande bellezza e sviluppo non c’è nessuna contrapposizione e che ha torto Jep Gambardella, protagonista del film di Sorrentino, quando dice che la nostalgia del passato è l’unica risorsa di un Paese senza futuro?

«Se lo sviluppo è intelligente, le due cose sono complementari. Tutelare un borgo, come Recanati e come altri, significa farlo crescere turisticamente. E aggiungo: non è soltanto una questione di turismo, ma anche di attrazione di investimenti. Anche Bill Gates ha detto: se un’azienda che lavora nella parte alta della filiera produttiva, dove contano la ricerca e la creatività, deve decidere dove insediarsi, tra un brutto posto in un brutto Paese e un bel posto in un Paese come l’Italia, dove si mangia bene, c’è offerta culturale e bellezza ovunque, sceglie sicuramente quest’ultimo. Dunque, la cultura e la bellezza sono le nostre grandi carte da giocare».

Roma è all’altezza di questa sfida?

«Una delle mie idee è che Roma, crocevia anche di politica internazionale e lo sarà ancora di più durante il semestre europeo di presidenza italiana, ogni volta che ospita uno statista straniero gli offra - come con Obama - la possibilità e l’onore di visitare un pezzo della propria bellezza. Le immagini di Obama al Colosseo hanno fatto il giro del mondo. Così dovrà essere anche in tanti altri casi».

Ma la faccia dell’Italia è pure Pompei.

«Purtroppo su Pompei si sono accumulati decenni di ritardi. Ora ci sono i finanziamenti dell’Unione europea, le nostre risorse, un nuovo direttore e un nuovo soprintendente. Dobbiamo dare loro il tempo per lavorare. Intanto, stiamo aprendo al pubblico tre nuove domus. E giovedì presenterò il progetto di Finmeccanica su Pompei. Questo gruppo metterà gratuitamente a disposizione la propria tecnologia per tenere sotto monitoraggio continuo l’intera area archeologica».

Perché non dare a Finmeccanica o alla Bmw o ad altre imprese la gestione di un luogo come Pompei?

«Non esiste che si affidi a un privato la gestione del più grande sito archeologico del mostro Paese».

E perché no?

«La collaborazione dei privati si può manifestare in altre forme. Non traendo profitto da un bene che appartiene alla collettività. Credo molto nella collaborazione tra Stato e privati nel campo culturale, e punto sugli atti di liberalità e di mecenatismo. È quanto è accaduto ad Ercolano con l’americano Packard, con l’imprenditore giapponese Yuzo Yagi per la Piramide Cestia a Roma, e anche con Diego Della Valle per il Colosseo. Sfiderò le più grandi imprese italiane a dire di no alla mia proposta di adottare un monumento. Il contributo dei privati potrà integrare l’intervento dello Stato, mai sostituirlo».

Si arrabbiano le professoresse di storia dell’arte?

«Non è questo il problema. E comunque, il 26 maggio a Roma su mio invito arriverà il ministro francese Filippetti, con la quale vorrei discutere della legge sul mecenatismo che da loro funziona benissimo da 10 anni».

Non sarebbe bene farci salvare dagli arabi?

«Ci salveremo da soli, ma anche loro possono essere coinvolti. Incontrerò l’ambasciatore del Kuwait, Paese che ha dichiarato di essere pronto a dare una mano a Pompei».

Così magari non cadranno più le domus e non spariranno più gli affreschi? Non teme di vedersi rivolta, come fu per Bondi, una mozione di fiducia per il crollo di un muro pompeiano?

«Avevo già dubbi allora, e non ho difficoltà a riconoscere oggi che fu uno sbaglio legare la mozione di sfiducia a Bondi al crollo di Pompei».

Sta assolvendo il super-berlusconiano?

«Dall’opposizione lo criticavamo per la gestione del ministero, e per i tagli ai Beni culturali, ma non aveva ovviamente responsabilità dirette per il crollo».

Agonizza Pompei, muore Cinecittà?

«Ho fatto incontri con i soci privati di Cinecittà Studios. E spero in tempi brevi di poter presentare un piano di rilancio. Che punti non solo su ciò che Cinecittà è stata nella storia della cultura italiana, ma anche su quello che può ancora essere come luogo di produzione e di attrazione di progetti cinematografici stranieri. Cinecittà è una miniera di saperi e di mestieri che va continuamente alimentata».

Tagli alla cultura non ci saranno, come ha detto anche Renzi. Ma lei al ministero ha intenzione di disboscare un po'?

«Stiamo riducendo di 35 dirigenti, in base alle norme della spending review. Una cosa è tagliare dove è possibile, un’altra è tagliare un euro dove invece ne servirebbero di più, ossia nella tutela e nella promozione del nostro patrimonio culturale e nell’assunzione di giovani professionalità».

Il premier sostiene che la burocrazia frena le riforme. Accade anche nel suo ministero?

«Sono appena arrivato. Ma se trovassi resistenze, le supererei con una certa determinazione».