Romani come noi/ Il presidente Retake: «Pulisco Roma per farla amare di più»

Romani come noi/ Il presidente Retake: «Pulisco Roma per farla amare di più»
Simone Vellucci dice che i romani rischiano di fare la fine delle rane. «Se le metti nell'acqua bollente schizzano via e si salvano. Ma se metti una rana in una pentola...

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Simone Vellucci dice che i romani rischiano di fare la fine delle rane. «Se le metti nell'acqua bollente schizzano via e si salvano. Ma se metti una rana in una pentola d'acqua fredda che riscalda sul fuoco, morirà perché non si rende conto del cambiamento di temperatura. Se lasci un romano bollire in questa pentola per tanti anni morirà senza accorgersi del degrado».


E come ci si salva?
«Bisogna dare ai romani la possibilità di vedere la loro città in modo diverso rispetto alle brutture a cui sono abituati».

Per questo ha deciso di guidare Retake Roma?
«Vivendo all'estero mi sono reso conto di come non sia possibile nemmeno immaginare una città che abbia la bellezza, la storia, la stratificazione che ha Roma. Per rifare una città come Roma ci vogliono 2mila anni ed eventi irripetibili. Eppure la trattiamo come una pattumiera, la narriamo come una discarica, come la somma infinita dei suoi problemi. All'estero hanno città che fanno schifo e le trattano come gioielli».

Ventotto anni, una laurea in giurisprudenza, un lavoro in Confindustria. Come è arrivato a fare il volontario del decoro?
«Quasi un caso. Non avevo interesse per il tema delle città, mi appassionava la politica economica piuttosto. Pensavo a Roma come a un posto da cui mi sarei distaccato. Poi ho fatto l'Erasmus vicino Londra e grazie alla mia università Roma Tre sono stato a Seattle con una borsa di studio. Questo periodo vissuto all'estero ha cambiato completamente il rapporto con il mio paese e la mia città».

Cosa ha scoperto?
«Due cose. L'Italia ha un country brand fortissimo all'estero, mentre noi ci sentiamo mezzi falliti, lontano da qui usano la pecetta Italia per rendere qualcosa attrattivo. E poi siamo vittime di una malattia. Ci lamentiamo, convinti che i problemi che ci circondano non siano frutto dei nostri comportamenti e delle nostre abitudini ma dipendano da qualcos'altro. Così sono tornato con l'idea di rimboccarmi le maniche e fare qualcosa per la mia città. Era il 2013, avevo 24 anni. Per Natale ho fatto alla mia famiglia un regalo particolare: ho pulito il portone d'ingresso del palazzo imbrattato da scritte».

In quanti siete?
«Nel 2014 siamo passati da mille a 20mila follower su fb. Ora abbiamo 45mila aderenti, 80 gruppi di quartiere solo a Roma. La nostra è una rivoluzione che sta diventando italiana, ci copiano in altre città. Roma che esporta modelli negativi questa volta è stata un modello positivo. Siamo diventati un'associazione di volontariato, una onlus e io sono il presidente da tre anni e per i prossimi tre».

Come si concilia questo impegno con il lavoro in Confindustria?
«Questo non sarà mai il mio lavoro. Dalle 9 alle 19 sono impegnato in Confindustria, la sera gestisco le emergenze dell'associazione. Il week end faccio il retaker. Se non pensassi a tutto quello che stiamo facendo per migliorare la città, non ce la farei a vivere a Roma per come è ridotta. Retake ci dà a tutti la forza di resistere ancora qui».

Gli ostacoli più grandi?
«Lo scetticismo, il disfattismo e il pessimismo cosmico che attraversa la città. Noi cerchiamo di restituire l'orgoglio di vivere a Roma, di far capire che la città si sporca di meno se la gente la rispetta di più. Ognuno deve rivendicare la propria quota di bellezza».

L'incontro più bello?
«Quello con un signore di 93 anni che da 50 puliva il parco sotto casa. Era come se ci dicesse: adesso tocca alla vostra generazione prendersi cura della città».

I nemici?

«Tutti quelli che se ne fregano degli spazi pubblici. Noi combattiamo la prepotenza. È sempre più complicato e sempre più bello».
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Il Messaggero