Renzi, il day after: Cialente assolve
gli aquilani: «La città è stata violata»

La conferenza stampa (Renato Vitturini)
di Stefano Dascoli
2 Minuti di Lettura
Giovedì 27 Agosto 2015, 11:41 - Ultimo aggiornamento: 13:04
L'AQUILA - Matteo Renzi avrebbe certamente apprezzato lo splendido soffitto a cassettoni, l’odore di nuovo che ha seppellito quello delle macerie, il profumo di cultura che si respira, tra queste mura, nelle mostre in allestimento, o nelle presentazioni di libri.



Peccato che il premier qui, all’interno di palazzo Fibbioni, non è riuscito a mettere piede. E, il giorno dopo, a far rumore sono ancora il cambio di programma dovuto agli scontri e alle tensioni, le manganellate, le uova, i fuggi fuggi, i feriti. Nella sala che era pronta e sfavillante per far toccare con mano al premier l’avanzare della rinascita, il sindaco chiama a raccolta una parte della giunta (Di Giovambattista e Trifuoggi), Giovanni Lolli, Stefania Pezzopane, Pierpaolo Pietrucci, Antonio De Crescentiis.



I MESSAGGI - Buona parte del Pd al governo perché, è inutile negarlo, la prima storica visita del presidente all’Aquila sa tanto di occasione persa e c’è bisogno di contrattaccare per difendersi. La violenza ha sovrastato qualsiasi altro messaggio. Ed è proprio dall’esegesi della protesta che parte il bilancio. Con un attacco durissimo a chi «è venuto solo a cercare incidenti armato di uova e sassi». «Avevamo bisogno di parlare dell’Aquila, ma è passato tutto in secondo piano» tuona Cialente che se la prende con chi è venuto da fuori mentre assolve in pieno i concittadini: «Il 3.32 non ha niente a che vedere con i sampietrini o gli sfondamenti, il 90 per cento dei manifestanti arrivava da fuori». Il nodo non è sui temi (Ombrina, Snam, Buona scuola e via di seguito), che tutti dicono di comprendere e spalleggiare. Piuttosto sulle modalità, come spiega Lolli: «Il dissenso su quei temi è legittimo, se vogliamo sacrosanto. Quello che non accetto è il “te ne devi andare” rivolto a Renzi. Perché impedirci di parlare con il premier, chiunque esso sia?». Ma ci sono anche le manganellate, assurte gioco forza a iconografia della giornata: «Mi hanno fatto male (idealmente, ndr), si potevano evitare. Così come erano da evitare i sampietrini» dice Lolli. Insomma, sul campo, oltre ai tuorli delle uova, restano tanti veleni. La Pezzopane parla addirittura di una città «violata nella sua identità». Cosa che ribadisce Pietrucci, con forza: «È un errore aver messo insieme tante istanze, semplicemente contro Renzi, alla qualunque».



GLI ERRORI - Errori organizzativi, tensioni, incontri saltati. E, così, passano in secondo piano le cose positive (i 6 miliardi disponibili, L’Aquila al centro del masterplan abruzzese nel grande piano del mezzogiorno, la battaglia assicurata dal governo sulle tasse, l’idea di completare il collegamento veloce con Pescara, il rinnovo degli stanziamenti per il Gran Sasso Institute, la legge Pezzopane) e quelle da fare (White list, albi reputazionali, misure per lo sviluppo, precari). Tutto sembra avere meno senso: la fuga di Renzi deve indurre a un profondo mea culpa tutte le componenti, perché nessuna è sembrata esente da errori.
© RIPRODUZIONE RISERVATA