Tuttavia, essendo ancora aperto il fido in Carichieti (quello per cui Banca d’Italia già nel rapporto ispettivo del 2012 aveva consigliato il rientro immediato) ed essendo saltata la vendita di un 5% delle quote che avrebbe portato un po’ di liquidità, la Fondazione ha sempre il problema di chiudere i rapporti finanziari con via Colonnetta in attesa di definire quelli statutari. Il problema ha uno sbocco quasi naturale che già da qualche mese è sul tavolo e oggetto di valutazioni: vendere palazzo de’ Mayo o parte di esso per fare cassa. Del resto nell’attivo della Fondazione oltre alle quote patrimoniali della banca non c’è molto altro e quindi dalla dismissione del gioiello appena restaurato di corso Marrucino si deve passare. Ma anche questo è un nodo complesso: vendere un immobile che ha vincoli di carattere architettonico e culturale non è certo questione risolvibile in poche settimane. Come per i rapporti con la banca, anche questo comporterà una perizia di terzi che, temporalmente parlando, si potrebbe allineare con gli eventi maggiori, quelli cioè che riguardano Carichieti.
A tal proposito ha destato molta attenzione, un mese e mezzo fa la vicenda della Popolare di Spoleto dove, in seguito ai ricorsi dei membri della governance, si è arrivati a una revoca del commissariamento ordinato dal Consiglio di Stato contro il provvedimento preso dal ministero su proposta di Banca d’Italia. Anche questa è una variabile da tenere in conto insieme, nell’ordine a: lavoro di revisione del commissario, lavoro dell’advisor chiamato dalla Fondazione, possibilità di intevento di un cavaliere bianco d’Abruzzo (Pescarabruzzo con deroga), possibilità di intervento di altri cavalieri bianchi (in aggiunta a quello già presente, Intesa che è già stato sondato per un eventuale allargamento). La primavera è appena iniziata.
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