Chieti, botte tra parenti in obitorio
per l’eredità del defunto

Chieti, botte tra parenti in obitorio per l’eredità del defunto
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Sabato 28 Marzo 2015, 13:23
CHIETI Botte da orbi all’obitorio davanti alla salma della parente. È successo tempo fa a Chieti e, per questo incredibile episodio, si trovano ora sotto processo due persone, padre e figlio: entrambi sono accusati di minacce e lesioni personali, mentre il primo deve rispondere anche di calunnia. I motivi della zuffa, come dice l’avvocato Antonio Di Biase, legale degli imputati, sarebbero vecchi dissapori sull’eredità. Per la Procura non ci sono dubbi: si è trattato di un’aggressione nei confronti del figlio della defunta, picchiato dal cognato e dal nipote. Tutti i protagonisti della vicenda sono di Tollo. Una cosa è certa: per far luce su questa incresciosa storia saranno decisive le testimonianze di chi ha assistito alla scena. I fatti risalgono al 17 aprile del 2010. Un uomo di 50 anni, ora ritenuto nel processo persona offesa, si trova davanti alla salma della madre, alla camera mortuaria dell’ospedale Santissima Annunziata. Il putiferio si scatena quando sul posto arrivano il cognato e il nipote, Alfredo e Cristian D’Angelo, all’epoca dei fatti rispettivamente di 59 e 35 anni. Secondo l’accusa, entrambi picchiano il 50enne in modo «unilaterale e veemente», ricostruisce il pubblico ministero Giuseppe Falasca. A lanciare l’allarme è un avvocato, Alberto Civitarese, che assiste alla scena e chiama il 113. Sul posto, nel giro di pochi minuti, giunge una pattuglia della Volante. I presunti aggressori, però, già sono andati via a bordo di un’auto. Ma non finisce qui: tutti e tre si fanno medicare in pronto soccorso. Il 50enne deposita una querela in Questura e pure suo cognato si presenta davanti alle forze dell’ordine per formalizzare la denuncia. Ma Alfredo D’Angelo viene rinviato a giudizio anche per calunnia perché, secondo la Procura, pur sapendo che fosse innocente, ha accusato «falsamente» il cognato di violenza privata e lesioni personali aggravate. In realtà, rimarca il pubblico ministero, è stato lui a rendersi autore dell’aggressione con la complicità figlio. Ma gli imputati respingono le accuse. «L’episodio contestato - dice l’avvocato Di Biase - è stato preceduto da una telefonata in cui i miei clienti sono stati minacciati da quella che viene ritenuta persona offesa. Quest’ultima, una volta che sua sorella è arrivata all’obitorio, l’ha afferrata da un braccio facendola cadere a terra. Solo a quel punto il figlio e il marito sono intervenuti per difenderla. Entrambi i miei clienti hanno riportato delle lesioni, come confermano i certificati medici. Siamo convinti che, durante il processo, verrà alla luce che l’accusa non è fondata. Lo dimostreranno anche diverse testimonianze». E arriviamo così all’udienza di mercoledì scorso. In aula, per l’accusa, c’era il pubblico ministero Marika Ponziani. La persona offesa, invece, era rappresentata dall’avvocato Lara Berardinelli. Tra i testi ascoltati, l’avvocato Civitarese, che ha confermato la tesi secondo cui si è trattato di un’aggressione. Tant’è che il figlio della defunta aveva «le mani alla testa« in segno di difesa: «Anch’io sono stato minacciato», ha aggiunto il legale davanti al giudice Cozzolino.
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