Le stragi irrisolte La vergogna infinita
dei misteri d'Italia

La stazione di Bologna dopo l'attentato
di Paolo Graldi
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Venerdì 6 Dicembre 2013, 14:25 - Ultimo aggiornamento: 12 Dicembre, 09:30
Del fatto, si sa, era il 2 agosto 1980. Tre parole per dirlo: strage di Bologna. L’ultima notizia, invece, è di questi giorni, avvolta in un velo di sconcerto ipocrita: ancora una volta non ci saranno i soldi per risarcire le vittime, i feriti, i famigliari. Lo Stato promette, rassicura, s’inchina. E scappa.



Chi ci ha lasciato la vita, vittima inconsapevole e innocente, chi sopporta da trent’anni e più la ferita aperta di quella infinita notte della Repubblica, chi ha perso per sempre il sonno e sopravvive singhiozzando tra gli incubi (oltre alla stazione di Bologna, è assai lungo l’elenco con il massacro di Piazza Fontana, la bomba di Peteano, Piazza della Loggia, Ustica, l’Italicus, via dei Georgofili, la strage di San Benedetto Val di Sambro e molto altro), una intera, vastissima e dolente comunità, sorretta da una fierezza incrollabile, si sente ancora una volta tradita nei propri diritti.



La querelle infinita sui conti mai saldati agisce come una metafora sulla disastrosa incapacità del Paese di porre la parola fine sulla stagione dei massacri e dei delitti con l’infamante marchio della politica.

«Un Paese che rinuncia alla speranza di avere giustizia ha già rinunciato non solo alle proprie leggi, ma alla sua storia stessa. Ecco perché severamente, ma soprattutto ostinatamente, aspettiamo», ha scritto Sergio Zavoli nel suo imperdibile “La notte della Repubblica”, raccogliendo il pensiero di un sopravvissuto alla strage del 2 agosto. In quel libro, che è la trascrizione della serie tv, c’è anche la testimonianza di Vincenzo Vinciguerra, neofascista all’ergastolo, autore della strage di Peteano, una trappola in un’auto bomba per falciare una pattuglia di carabinieri. Quest’uomo, mai pentito, racconta “da dentro” quella terrificante stagione. E di quella è l’unico colpevole certo. Infatti è reo confesso. E dal ’72 è «da solo in guerra con lo Stato».



Neofascisti irriducibili, iscritti alla loggia P2 di Licio Gelli, generaloni e colonnelli dei carabinieri al Sifar, poi al Sid e infine al Sisde in posti di prima grandezza sono stati riconosciuti colpevoli di gravissimi depistaggi, trame complesse, sempre orchestrate in nome della paura di una guerra civile fatta scoppiare dai comunisti, mestatori impuniti e spavaldi, chiamati a proteggere lo Stato dall’assalto rosso.



Giudici coraggiosi, alcuni hanno pagato con la vita (Occorsio, Amato, Scopelliti, il fratello di Imposimato), hanno cercato di dipanare la matassa del terrore ma la loro strada si è spesso incrociata con ostacoli insormontabili: chi doveva aiutarli nelle indagini, le ostacolava.



Nella strage di Ustica, per esempio, l’ostinazione inarrendevole di Rosario Priore assieme con i rottami del Dc9 Itavia, inabissatosi poco più di un mese prima della bomba alla stazione di Bologna (coincidenza?), ha fatto riemergere dagli abissi tutte le losche complicità di altissimi ufficiali dell’Aeronautica, colpevoli (è storia di questi giorni, accertata definitivamente) di aver celato elementi indispensabili a ricostruire l’accaduto. Ora si sa che un missile fece precipitare l’aereo con il suo carico di 81 passeggeri diretti a Palermo. Ma ragion di Stato e opportunismi internazionali impediscono tuttora di vedere il traguardo. Senza nome anche i responsabili dell’esplosione a Piazza della Loggia, Brescia (28 maggio 1974), un evento che segnò la fase più cruenta e strategica dello stragismo.

Nessun colpevole certo, tanti processi, come per Bologna con un gruppetto di ultraneri, in testa Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (colpevoli mai pentiti di una catena di omicidi nella guerriglia tra rossi e neri), condannati al carcere a vita per quella bomba alla stazione che negano risolutamente di aver fatto scoppiare e attualmente liberi dopo aver scontato oltre vent’anni.



Vuoto, fitto di pagine bianche, mai scritte e dunque neppure mai cancellate, il capitolo dei mandanti: certo, intrecci con la malavita romana, la famigerata banda della Magliana, sodalizi criminali con boss della mafia siciliana (Pippo Calò), mescolanze politiche e malavitose quante se ne vogliono ma niente che illumini il quadro. Chiari i moventi, oscuri o comunque liberi i mandanti. Accanto a singoli episodi chiariti nei dettagli, per esempio la figura di Concutelli e di Tuti, assatanati assassini, o quella dei Moretti o dei Bonisoli sul fronte opposto, quello della sanguinaria epopea delle Brigate Rosse e con l’assassinio di Aldo Moro, gli scenari dei colpevoli si allungano ai nostri giorni, in un’inesauribile dispiegarsi di verità e di controverità, di rivelazioni e di sconfessioni.



Se davvero è «beato quel Paese che non ha bisogno di eroi», è angosciante constatare che certo di eroi sono pieni i nostri cimiteri. Forse non inutilmente, si potrebbe sussurrare con ritegno. Ma il Paese quegli eroi dovrà pure meritarseli un giorno e saprà farlo solo quando la vera storia delle stragi, sia di terrorismo sia di mafia, sarà scritta senza che l’ultima riga sia dedicata all’annuncio della “prossima puntata”.