La banda della Magliana E i signori della mala
divennero re di Roma

L'attentato a Primavalle in cui morirono Casillo e Cuomo
di Giancarlo De Cataldo
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Venerdì 6 Dicembre 2013, 14:37 - Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 10:42
Nella malavita romana, agli inizi degli anni Settanta, si crea un vuoto di potere. I marsigliesi di Bergamelli, Berenguer e Bellicini, gangster spavaldi che amavano spendere e spandere e che avevano dominato la scena mettendo a segno clamorose rapine e sequestri di persona, escono di scena decimati da arresti e condanne. In questo vuoto di potere s’inserisce un gruppo di giovanissimi delinquenti spietati e determinati. Il loro modello è la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo che, nello stesso periodo, sta muovendo guerra ai clan tradizionali del napoletano.



Ragazzi che hanno già conosciuto il carcere e si sono fatti le ossa sulla strada decidono di discostarsi dalla tradizione romana delle “batterie” e di costituirsi in associazione criminale stabile e duratura. Mentre la “batteria” mette insieme un pugno di rapinatori che, portato a termine un “colpo”, se ne vanno ciascuno per la propria strada, la “banda” si impone la regola della “stecca para per tutti”. L’atto fondante della banda della Magliana è il sequestro del duca Massimiliano Grazioli, che si conclude tragicamente con l’uccisione dell’ostaggio. L’ingente riscatto costituisce il primo capitale sociale. Gran parte della somma estorta alla famiglia del sequestrato viene reinvestita nel traffico di droga, i profitti e le perdite sono messi in comune, capi e gregari percepiscono una quota degli utili, le famiglie degli arrestati vengono sostenute con regolari elargizioni di denaro.



Gli “uomini della Magliana” non fanno sconti a nessuno: chi non è con loro, è contro di loro. Chi si oppone alla banda viene eliminato, con chirurgica determinazione. In breve, i “ragazzi della Magliana” assurgono al rango di signori incontrastati della malavita romana: controllano in regime monopolistico il mercato degli stupefacenti, reinvestono in attività imprenditoriali, riciclano abilmente l’oceanico flusso di denaro che la crescente domanda di eroina scaraventa nelle loro tasche. Le forze dell’ordine e la magistratura, impegnate nella lotta al terrorismo rosso e nero che insanguina l’Italia nella stagione nota come “gli anni di piombo”, sottovalutano inizialmente il pericolo rappresentato da questa nuova forza criminale.



Quelli della Magliana non hanno paura di niente e di nessuno e se ne infischiano delle regole della malavita tradizionale. La banda agisce con spregiudicato stile mafioso, ma solo in pochi sono disposti ad ammettere che anche a Roma può esistere un fenomeno assai simile alla mafia.

Gli ambiziosissimi capi della banda approfittano della situazione per tentare uno spericolato salto di qualità. Intessono relazioni con la mafia e con la camorra, con settori deviati dei servizi segreti, con logge massoniche, con terroristi neofascisti. In pochi mesi la banda, da associazione di criminali “puri”, diviene una sorta di holding a cavallo fra delinquenza e politica, restando invischiata in alcuni dei più intricati misteri italiani del tempo.



Quando il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro viene rapito dalle Brigate Rosse, tramite il boss camorrista Raffele Cutolo, autorevoli personalità politiche chiedono alla banda di attivarsi per trovare la prigione dello statista. Danilo Abbruciati, uno degli elementi di spicco della banda, viene ucciso mentre, in trasferta a Milano, attenta alla vita di Roberto Rosone, il “vice” di Roberto Calvi al Banco Ambrosiano.



L’apice del successo è anche, per la banda, l’inizio della fine. Franco Giuseppucci, capo storico e leader capace di tenere insieme le varie anime del gruppo, viene assassinato da un clan rivale. Con la sua scomparsa, i contrasti latenti esplodono. C’è chi ha saputo mettere a frutto i guadagni, e sogna un futuro rispettabile: abbandonare la pistola, accantonare la droga, diventare un imprenditore rispettato. E chi è rimasto, in fondo, un delinquente di strada arricchito. L’odio divora la banda e la porta alla rovina. I regolamenti di conti seminano una scia di sangue. La banda non esiste già più a partire dalla metà degli anni Ottanta. Esistono, ancora, pochi banditi, l’un contro l’altro armati.



Negli anni Novanta, infine, il pentimento di alcuni superstiti consentirà, attraverso i processi, di far luce su gran parte delle imprese della banda. Finale obbligato per un’epopea delinquenziale che, in fondo, ricalcava uno schema classico nella storia del crimine: non c’è delinquente che non aspiri a diventare “normale”. Per riuscirci, deve essere sempre meno delinquente e sempre più “normale”. Ma se smetti di essere delinquente, perdi il tuo potere sulla strada. E dalla strada verrà qualcuno, più feroce e cattivo di te, e ti leverà di mezzo.