Una strada della capitale, via Mario Fani, con cinque uomini a terra. Un uomo, Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana, sparito. Rapito da
un’organizzazione terroristica, le Brigate rosse, che dopo aver trucidato la scorta lo ha tradotto chissà dove, chissà come. Quindi cinquantacinque giorni - dal 16 marzo 1978 al 9 maggio - di indagini a vuoto, piste e false piste, speranze e disillusioni, giorni scanditi dai comunicati ufficiali delle Br e poi anche dalle lettere di Moro dal "carcere del popolo" fino alla tragica conclusione. Quasi due mesi lenti, lentissimi, che oggi varrebbero un tempo percepito almeno triplo: non c’era Internet, nessun social network, le televisioni private erano agli albori. L’ansia del Paese di capire, di avere notizie era appesa a intervalli lunghissimi, quelli tra le edizioni dei Tg Rai, e alle 24 ore necessarie a ripresentarsi in edicola per compulsare i quotidiani: ci sono indizi? Sospetti?
Ora che del sequestro Moro è noto quasi tutto - sebbene dietro il "quasi" si nasconda ancora più di una questione irrisolta - è difficile riproiettarsi nel tempo, in quella grande nube politica, mediatica e umana che fu la primavera del 78. Per l’informazione si trattò di una sfida difficilissima. Bisognava fare i conti con il fatto più rilevante dell’intera storia repubblicana...
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