Palazzo Fortuny a Venezia celebra Luisa Casati, la "divina marchesa", musa del '900

Palazzo Fortuny a Venezia celebra Luisa Casati, la "divina marchesa", musa del '900
di Valentina Bruschi
3 Minuti di Lettura
Sabato 25 Ottobre 2014, 09:10 - Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 17:21


“Alla grande futurista marchesa Casati, ai suoi occhi lenti di giaguaro che digerisce al sole la gabbia d’acciaio divorata”. Filippo Tommaso Marinetti scrisse questa frase sul ritratto che donò a Luisa Casati (1881-1957), una delle celebrità europee più famose del modernismo – certamente la più eccentrica - alla quale importanti artisti dell’epoca dedicarono le loro creazioni.


Per le prime tre decadi del XX secolo, questa incarnazione della “femme fatale” ha viaggiato tra Venezia, Roma, Capri e Parigi, collezionando palazzi in ogni luogo, allestendo feste memorabili e circondandosi di animali esotici: corvi albini, ghepardi ingioiellati e boa constrictor. Per dieci anni il palcoscenico dei suoi eventi fu Palazzo Venier de’ Leoni a Venezia, acquistato più tardi da Peggy Guggenheim, anche lei musa e sostenitrice degli artisti d’avanguardia.

La città lagunare rievoca il mito della donna che aveva l’ambizione di “essere un’opera d’arte vivente”. Il Museo Fortuny ha da poco inaugurato una grande mostra, “La Divina Marchesa. Arte e vita di Luisa Casati dalla Belle Époque agli anni folli” (fino all’8 marzo 2015, ideata da Daniela Ferretti, a cura di Fabio Benzi e Gioia Mori, info: www.mostracasati.it). Il titolo della mostra richiama l’aggettivo che le dette Gabriele D’Annunzio, uno dei suoi celebri amanti, che le attribuiva così una ideale discendenza dal “divino” De Sade.

Oltre cento lavori in mostra tra dipinti, sculture, gioielli, abiti, fotografie e manoscritti di grandi artisti del tempo, provenienti da musei e collezioni internazionali, allestiti nell’affascinante casa-atelier di Mariano Fortuny che, con le sue raffinate sete vestì - insieme a Paul Poiret, Ertè e Léon Bakst - i sogni e le follie di Luisa Casati.

Una raccolta straordinaria di opere a lei dedicate che va dal ritratto con piume di pavone di Giovanni Boldini (1911-13), in cui rappresenta la versione femminile del dandy, alla foto del 1922 scattata da Man Ray e nella quale gli occhi della Casati sfocano e diventano sei, per un errore nello sviluppo della pellicola, trasformandola in icona surrealista. Tra le tante, opere di Alberto Martini, Augustus Edwin John, Kees van Dongen, il barone Adolph de Meyer, Romaine Brooks, Ignacio Zuloaga, Jacob Epstein, Cecil Beaton e Peter Lindbergh.

Fu l’incontro con il futurismo a trasformare il dandismo della marchesa in “performance”, allontanandola dal decadentismo e proiettandola in una dimensione profonda di simbiosi tra vita e arte. Abbandonando feste e maschere, la marchesa inizia a travestirsi quotidianamente, interpretando un ruolo consapevolmente artistico. Dei futuristi non solo fu amica ma sostenitrice e collezionista, come testimoniano le diverse opere in mostra di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Luigi Russolo e Fortunato Depero.

Vera antesignana della body art e della performance art, esplose negli anni Sessanta, la marchesa ancora oggi continua ad alimentare il mito di se stessa attraverso le opere di artisti, stilisti e creativi contemporanei, esposte in questa occasione: dalla serie di plexiglass acetati realizzata da T.J.

Wilcox nel 2008, alle collezioni ispirate da lei e firmate da John Galliano per Dior (“Marquise Masquéee”, 1998) e da Karl Lagerfeld per la “Cruise Collection” di Chanel nel 2010.