Il mistero dell'antico robot alla corte del re di Francia

Il mistero dell'antico robot alla corte del re di Francia
di Laura Larcan
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Mercoledì 19 Novembre 2014, 05:56 - Ultimo aggiornamento: 25 Novembre, 18:12

Sembra uscito da una scenografia di Dante Ferretti. A guardarlo, il primo pensiero vola alle atmosfere di “Hugo Cabret”, bestseller di Brian Selznick portato al cinema da Martin Scorsese. Eccolo l'automa, un sofisticato manichino robot di tre secoli fa riaffiorato nei depositi del Museo delle Arti e tradizioni popolari.

Dopo essere entrato a far parte delle collezioni nel 2007, è rimasto sotto chiave fino ad oggi, quando la direttrice Maura Picciau ha avviato uno studio certosino sull'opera, con l'obiettivo di svelarla al pubblico.

Un esemplare rarissimo in Italia. Il volto scolpito e dipinto nel legno sembra recitare. Ha un'espressione rassegnata, con quegli occhi liquidi che sembrano sussurrare «perchè nessuno mi capisce?».

Il corpo, non a caso, è un conturbante oggetto di supposizioni: manichino di raffinata fattura, assemblato con parti modellate in legno, con uno scheletro saldato da fini giunture metalliche. Tutto appare mobile e snodabile, in questo manufatto, e ogni tassello dell'anatomia sembra avere una combinazione che lo lega ad un nervo centrale.

Definirlo manichino è riduttivo, perché questa creatura è un automa meccanizzato, costruito nel 1700 in Francia, a grandezza naturale. La storia degli automi ha radici che affondano nell'antichità, anche se la svolta è arrivata con Leonardo. Ma è nel XVIII secolo che l'automa raggiunge il suo apice, soprattutto in Francia, con meccanismi a ricarica sempre più virtuosi. E la chiave dei suoi ingranaggi è stata una vera rivelazione per l'équipe di tecnici guidata da Stefania Baldinotti.

L'ENIGMA DEL DADO

Il segreto è nella testa, rimasto celato fino ad oggi da uno sportellino che sembrava impossibile da aprire. «Abbiamo scoperto che al centro della calotta c'è un dado di trazione che governa tutto il movimento del corpo - racconta Maura Picciau - Questo lo rende diverso dagli altri manichini snodabili. Nello stile degli automi dai meccanismi a ricarica, cioè dotati di un dinamismo propulsivo che consentiva loro di svolgere una serie di azioni protratte nel tempo, il nostro automa ha un sistema di tiranti governato dal meccanismo del cranio. Poteva così muoversi e mantenere una postura perfetta».

Il suo ruolo nella società del secolo dei Lumi era a teatro. Un performer di talento per la gioia del pubblico delle corte del re. «Il suo scopo sembra essere quello di un personaggio silenzioso, che non ha battute sulla scena», riflette Picciau. Poteva essere acconciato con costumi per “recitare” al fianco di attori. Dall'esame delle sue parti snodabili, sembra che potesse anche essere modificato per assumere connotati maschili o femminili. La sua storia biografica è nota solo per capitoli. La difficoltà a ricostruirla è dovuta all'assenza di una denominazione d'origine.

In Italia è arrivato col mercato antiquario, reperito poi da una Casa d'aste per venderlo all'estero. Nel 2007 venne esaminato dall'Ufficio della Commissione esportazioni di Milano che lo segnalò ai funzionari del Museo per una valutazione (si occupò del fascicolo Francesco Floccia). Le foto non lasciarono dubbi che fosse un oggetto di prestigio. Venne acquisito per 30mila euro. «Ad oggi non dovrebbero esserci altri esemplari come questo in Italia - azzarda con cautela Picciau - ma chissà che in Francia non esista una collezione di suoi compagni».