Guardiani della Galassia Vs. Gone Girl, Hollywood contro Hollywood

una scena di Guardiani della Galassia, tratto da un fumetto poco noto della Marvel
di Fabio Ferzetti
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Sabato 25 Ottobre 2014, 17:04 - Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 16:54
Musica e divertimento dalle più remote galassie. Angoscia e nichilismo sul pianeta Terra. Se volete capire perché la fantascienza non morirà mai, provate a vedere uno dopo l’altro Guardiani della galassia di James Gunn (Alice) e Gone Girl di David Fincher (Gala), abbinati dal Festival di Roma nel giorno più hollywoodiano del programma.



Il primo è un sogno che si realizza. Il bar di Guerre stellari che finalmente diventa un film (anche se c’è dietro uno dei fumetti meno noti della Marvel). Una “space opera” comica, sentimentale e soprattutto musicale, in cui compare un solo terrestre e tutti i protagonisti rappresentano specie umanoidi in via d’estinzione. Una storia di pirati trasferita nel cosmo, in cui tra astronavi e raggi della morte compaiono anche alberi parlanti, procioni ciarlieri quanto vendicativi. E bellissime guerriere dalla pelle verde così fissate con la loro missione di morte che c’è un solo modo per ammorbidirle: farle ballare.



Il secondo è un lodatissimo mystery a scatole cinesi, più brillante che davvero convincente però, che sbocca su una verità sconsolante e nemmeno così inedita. Nell’epoca di Internet e dei canali all news, siamo tutti schiavi della nostra immagine. Anche la sfera più intima dell’esistenza, l’amore, la coppia, la famiglia, è un terreno di scontro e di simulazione in cui ogni mossa è permessa, specie se proibita. E tutto, assolutamente tutto, può essere falsificato e diventare vero un secondo dopo, purché qualcuno lo veda su uno schermo e ci creda. Un quasi-horror domestico insomma, diretto non a caso dal regista di Seven e di The Social Network. In cui Ben Affleck e Rosamund Pike, belli, ricchi e famosi, sono la classica coppia perfetta che un giorno esplode.



Lei sparisce. Lui va alla polizia. La polizia indaga e naturalmente scopre che molte cose non quadrano. Che fine ha fatto quella giovane newyorkese bella, colta, elegante, simbolo di ogni possibile talento e virtù, protagonista di una serie di libri di successo dedicati alla sua crescita, scritti da due genitori così manipolatori che a poche ore dalla scomparsa hanno già allestito un sito per cercare la figlia prediletta? È vero che i due erano in crisi? Che cosa sa veramente la sorella di lui, barista nel locale di proprietà della coppia in quella remota cittadina del Missouri dove si erano trasferiti? E quella vicina pettegola, la sa lunga o è solo una mitomane?



Di flashback in flashback, Fincher scoperchia segreti di tutti i tipi, su tutti i fronti. Non sempre imprevedibili però, e alla lunga un po’ meccanici, come succede quando i protagonisti diventano ricettacolo di ogni possibile nefandezza fino a perdere umanità, spessore e interesse. Alla fine ci si chiede se il film non tratti noi, in platea, un po’ come i protagonisti, così abili a mentire e simulare, trattano quei poveri idioti che davanti al piccolo schermo decretano chi è colpevole e chi no (sia pure per dire, prevedibilmente, che nessuno è innocente). Converrete che non è una bella sensazione.



Per cui, via! Tutti nello spazio con Guardiani della Galassia, in un universo di pura e liberatoria fantasia dove i pianeti esplodono, le astronavi sono gigantesche, i cacciatori di taglie hanno fattezze imprevedibili e tutto è dilatato, iperbolico, fragoroso. Ma l’oggetto più importante in queste avventure high tech resta il vecchio mangianastri con la cassetta su cui la madre morente del piccolo protagonista aveva registrato irresistibili canzoni anni 70 per il figlio bambino. Che in apertura viene risucchiato a bordo di una misteriosa astronave per riapparire una ventina d’anni più tardi nei panni di un irriducibile e solitario pirata del cosmo.



Solitario, ma legatissimo a quei pochi ricordi della sua vita passata. Che naturalmente porteranno una scintilla di speranza nelle più sperdute lande interplanetarie. Si pensa ai vecchi Mad Max, ai nuovi Star Trek, naturalmente alla serie Men in Black, anche se tutto parte da un fumetto di scarso successo della Marvel. Ma Gunn e i suoi collaboratori (gara di bravura nel reparto scene e costumi) ci mettono un entusiasmo, un divertimento, un’energia infantile e contagiosa che sono merce rara nelle sempre più costose e seriose superproduzioni dei nostri giorni. Il pubblico internazionale li ha già abbondantemente premiati. Una volta tanto siamo perfettamente d’accordo.
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